Con la scusa di un lavoro da baby sitter, a soli 19 anni arriva in Italia dalla Nigeria. Poco dopo si ritrova a prostituirsi sulle strade della provincia di Cremona a forza di botte, minacce, violenze e riduzione in schiavitù. La giovane, il 22 aprile prossimo racconterà la sua vita e la tratta. Denuncerà quello che passano le povere ragazze come lei e parlerà anche dei suoi due aguzini, Edith e Paul, fratello e sorella di 35 e 37 anni.
La giovane oggi ha 27 anni. Per diverso tempo è stata costretta a prostituirsi sulle strade e in una casa a Crema. Lei che è originaria di Benin City, città da cui provengono l’85% delle prostitute nigeriane. La 27enne racconterà il dolore, la rabbia e l’umiliazione subita da lei e da tutte quelle che sono costrette a vendere il proprio corpo ogni giorno. Parlerà davanti alla Corte d’Assise di Cremona dove si è aperto il processo per tratta di schiave e riduzione in schiavitù nei confronti dei due imputati, rinviati a giudizio dal Tribunale di Brescia.
La vicenda risale a 9 anni fa. Il processo è già iniziato: Edith e Paul, lunedì scorso avrebbero dovuto essere presenti in aula. C’erano invece soltanto i loro difensori nominati d’ufficio: i due avvocati non sanno nulla dei propri assistiti, non li hanno mai visti e neppure sentiti. L’unica cosa che si conosce è la residenza tra il 2015 e il 2016 di Edith, a Crema, e del fratello a Offanengo.
I capi di imputazione sono scritti su due pagine e riassumono il viaggio di andata all’inferno della giovane nigeriana approdata a Lampedusa su un barcone prima di salire al Nord. Secondo l’accusa, Edith e Paul avevano organizzato tutto, le pratiche di immigrazione dalla Nigeria all’Italia, il viaggio fno a Crema dove avrebbero istruito Maria e un’altra ragazza a prostituirsi non solo in casa, ma anche sulla strada di Spino d’Adda. Alle due giovani era stato indicato tutto, anche il prezzo da richiedere ai clienti.
Per liberarsi dalla schiavitù servivano 35mila euro
La vicenda la ricostruisce il quotidiano La Provincia di Cremona. Per liberarsi, la giovane avrebbe dovuto pagare 35mila euro. Per tenerla in schiavitù, lei e le sua “collega” venivano minacciate di morte. Se si fosse ribellata, gli imputati avrebbero ucciso lei, ma anche i suoi familiari in Nigeria. L’accusa parla anche di ripetute percosse con il manico di una scopa. E digiuni che servivano a rendere la giovane “più accondiscendente ai loro voleri”.
Ai suoi aguzzini, prostituendosi avrebbe consegnato in tutto poco più di 10mila euro. Un giorno, approfittando di una distrazione dei suoi sfruttatori, riuscì a chiamare suo padre in Nigeria. L’uomo le disse di scappare e di andare alla Polizia. Lei così fece e si presentò al commissariato. Da quel momento finì in un programma di protezione e partirono le indagini. Ad inchiodare i due fratelli anche le testimonianze dei vicini.