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Tre anni in carcere per un reato non commesso, è scontro sui 300mila euro di risarcimento richiesti

Non fu lui ad uccidere Lidia Macchi, la studentessa varesina di 20 anni, ammazzata nel 1987. Lo provano un’assoluzione piena in Appello, i giudici scrissero che non c’erano nemmeno degli indizi a carico di Stefano Binda, di Brebbia (Varese), arrestato nel 2016 per il delitto. La Cassazione ha definitivamente confermato la sua estraneità ai fatti. Binda è stato ingiustamente detenuto per quasi tre anni. Condannato all’ergastolo in primo grado è poi stato assolto nei successivi gradi di giudizio.

Binda ha chiesto allo Stato 300mila euro di risarcimento, accordati dalla Corte d’Appello di Miano. La Cassazione ha però accolto il ricorso della Procura generale rinviando gli atti alla Corte d’Appello di Milano. Ieri si è svolta la nuova udienza alla presenza degli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli, i difensori di Binda, e del sostituto Pg Laura Gay che, davanti alla corte, si è rimessa alle ragioni della sua impugnazione accolte dalla Cassazione. L’avvocato Esposito, per contro, ha ribadito che non vi erano, all’epoca dell’arresto, ragioni per la custodia cautelare in carcere. Un’udienza lampo alla quale Binda non era presente. La corte si è riservata.

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