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Cataclisma a Genova, lo schiaffo al doge Aponte fra processi e elezioni 

Cataclisma a Genova, lo schiaffo al doge Aponte fra processi e elezioni 

Forse è il gesto minore nello scatafascio genovese e ligure, cominciato con il blitz della Finanza e della Procura lo scorso 7 maggio contro il presidente della Regione Giovanni Toti e i suoi “complici”.

Ma fotografa l’ultima miseria di una città e di una regione che stanno autoaffondando. Il vero doge di Genova, Gianluigi Aponte, “il comandante”, secondo armatore al mondo, molto impegnato a Genova in operazioni diverse, dalle banchine ai rimorchiatori, alle flotte passeggeri e merci, ai trasporti in generale, all’acquisto de “IL Secolo XIX”, si era offerto di rilevare una quota del 15 per cento del traballante aeroporto genovese, Cristoforo Colombo, affidato da pochi mesi a un suo uomo, Alfonso Lavarello, per salvarlo da un declino imbarazzante. Operazione concordata con Aeroporti di Roma, detentrice di quel pacchetto e socio molto assente anche nel delicato momento dell’aeroporto genovese, alla vigilia di un problematico aumento di capitale.

Schiaffo ad Aponte, ultimo doge di Genova

Edoardo Rixi a Genova a una riunione politica
Cataclisma a Genova, lo schiaffo al doge Aponte fra processi e elezioni – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

L’offerta Aponte significava ben di più di quel 15 per cento, calcolato l’interesse del “comandante” per le infrastrutture genovesi sulle quali viaggiano anche circa quattro milioni dei passeggeri delle sue navi da crociera.

Era ipotizzabile un ingresso ben più significativo e un rilancio di un aeroporto che ora per traffico è il 23esimo nella classifica italiana.

Ma la trama dei piccoli poteri genovesi, gestita dalla Camera di Commercio, socio forte dell’ aeroporto e che di colpo ha fatto valere il suo diritto di opzione sulla quota romana, avrebbe ridotto la quota di Aponte e un po’ rivoluzionato tutta l’operazione in una ottica molto genovese e anche miope, la vecchia logica che da anni misura l’orizzonte della ex Superba.

Calcolando questa mossa anche con la difficoltà dell’altro socio forte, che è l’Autorità di sistema portuale genovese, oggi commissariata e affidata a un ammiraglio e a un professore di diritto, il presidente del consiglio di amministrazione del “Colombo”, Alfonso Lavarello e altri due componenti del cda si sono dimessi, sbattendo l’aeroporto in mezzo a un guado molto pericoloso.

In questo modo si è anche acceso un allarme su tutto l’impegno di Aponte a Genova. Lavarello, infatti, era anche al centro di una vera rivoluzione nei collegamenti tra aeroporto, ferrovie, autostrade che stava per dare una svolta secca al vecchio “Cristoforo Colombo”, dove i voli si contano con il contagocce anche per i collegamenti così carenti.

La strisciante ottica genovese, che mira a difendere i propri piccoli orti, si è opposta alla visione più larga di un gruppo che non ha certo bisogno di speculare su Genova tanto vasta e la sua gamma di interessi mondiali.

Il destino dell’aeroporto è in bilico,

Ora il destino dell’aeroporto è in bilico, tra un aumento di capitale complicato e l’ipotesi addirittura di una resa con i libri in Tribunale.

E’ l’ultimo gesto di autolesionismo che cade in mezzo a un terremoto genovese e ligure, innescato dal blitz giudiziario, ma che sta continuando con scosse che oramai scuotono tutti i settori della città e della regione.

Basta considerare che oggi la Liguria si trova senza presidente dopo le dimissioni di Giovanni Toti, appena liberato dai domiciliari dopo 86 giorni, con il consiglio regionale sciolto e la proiezione verso una campagna elettorale estiva devastante per la mancanza di candidati, che finirà in ottobre-novembre.

Proprio nei giorni in cui a Palazzo di Giustizia si celebrerà il “processo immediato” allo stesso Toti e ai due imputati principali, l’ex presidente del porto Paolo Emilio Signorini, anche lui ai domiciliari dopo due mesi di galera e al maggior imprenditore portuale, Aldo Spinelli, ottantacinquenne, ai domiciliari dal 7 maggio. Con poche speranze di uscita rapida malgrado l’età avanzata.

Il porto si trova senza presidente perché Paolo Piacenza, commissario in carica al momento del boom giudiziario, è anche lui indagato nell’inchiesta e si è quindi dovuto ritirare, sostituito da due nuovi commissari, quell’ ammiraglio e quel professore di diritto che dovrebbero affrontare scelte enormi.

Basta pensare alla mega diga foranea in costruzione da quindici mesi, opera risolutiva, non solo per Genova, già in ritardo nella sua costruzione di quasi due anni.

Le grane portuali sono numerose e si intersecano spesso con la città, a partire da un piano regolatore da anni in discussione.

L’aeroporto è decapitato, come si è detto, e senza presidente con un destino incerto e le prospettive di nuovi traffici sepolte.

Le incognite del Comune

Il Comune, affidato alle mani di Marco Bucci, vacilla un po’ nella solitudine del sindaco, che sta coraggiosamente affrontando qualche sua delicata vicenda di salute e soprattutto ha perso i suoi “appoggi” in porto e in Regione, nella triangolazione che per gli ultimi anni aveva governato in un certo senso “cumulativamente” la città e la Regione in un sintonia perfetta tra lui, Toti, Signorini e poiPiacenza.

Regge in questo sistema di alleanze Edoardo Rixi, vice ministro delle Infrastrutture, vera spalla governativa dei liguri, genovese doc di Castelletto, che però ora è tirato per la giacca da molti per candidarsi in Regione con il centro destra.

Rixi ha rifiutato e per ora sono tutti concordi al governo nel rispettare la sua decisione di restare in Parlamento e al ministero, invece che affrontare la battaglia elettorale, molto più incerta per la destra che nel recente passato.

Ma di fronte alla raffica di “no”, che finora si sono sentiti dire i leader di destra, a caccia di un “civico” candidato ideale, l’ipotesi Rixi rimane sullo sfondo.

Potrebbe essere che il vice ministro alla fine sia costretto ad accettare la battaglia.

Blitzquotidiano può rivelare che sono già stati inutilmente consultati grandi personaggi della società civile genovese, il presidente del Rina Ugo Salerno, il rettore dell’Università Delfino, il presidente dell’Ordine dei medici Bonsignore, Tonino Gozzi presidente di Duferco e di Federacciai, Beppe Costa, il presidente di palazzo Ducale e dell’Acquario, leader di Costa Edutainement e che altri nomi viaggiano e sono tutti rappresentati di settori chiave genovesi anche nel brokeraggio assicurativo e nell’edilizia. Tutti lusingati, ma poco propensi a gettarsi in una mischia come quella elettorale.

Il cataclisma non risparmia il centro sinistra, che se la faceva facile dopo avere praticamente scelto Andrea Orlando, parlamentare spezzino, ma non eletto a Spezia, già ministro più volte, leader di corrente nel Pd, propenso ad affrontare per la prima volta, dopo gli esordi giovanili a Spezia, un impegno sul territorio.

Ma l’improvvisa e imprevista entrata in scena, come presidente della holding di Aldo Spinelli, di David Ermini, chiamato a sostituire la famiglia Spinelli nel governo del gruppo per liberare il vecchio Aldo dalla detenzione ai domiciliari, ha causato un inferno a sinistra.

Ermini è, infatti un ex-membro della direzione nazionale Pd, ex vicepresidente del CSM.

Già commissario per il Pd a Genova e in Liguria, sarebbe stato chiamato a “difendere” la posizione di un superimputato, contro il quale il centro sinistra ha costruito la sua battaglia e la sua possibilità di vittoria elettorale.

Una specie di tradimento, che ha suscitato un vespaio incredibile. Andrea Orlando ha subito chiesto a Ermini di “fare un passo indietro”. Ermini ha risposto che si tratta di un incarico professionale.

Il centro sinistra compatto è saltato per aria, considerando il passato e il presente di Ermini, scelto come garanzia dagli avvocati di Spinelli, ma evidentemente suggerito da qualche politico.

Alla fine di fronte alle richieste del suo partito il due volte parlamentare si è dimesso, ma non dalla holding Spinelli, ma dalla direzione del Pd, incendiando ancora di più il pagliaio delle polemiche.

Campo largo a Genova?

Che minacciano la costruzione del “campo largo”, proprio mentre viene fissata con certezza la data delle elezioni liguri, il prossimo 27-28 ottobre. Vuol dire ottantasette giorni di campagna elettorale nel cuore dell’estate, partendo da zero.

Lo sconquasso politico elettorale gira, ovviamente anche intorno alla posizione di Toti, che da libero potrà decidere, aspettando un processo per lui durissimo, che fare della sua vita politica e professionale. I totiani sono tanti e di diverse provenienze politiche, se non creature dirette dell’ex presidente.

Se una lista Toti si ricompatta costoro correranno insieme, se invece ci sarà un “liberi tutti” cosa succederà? Le frange totiane si ingarbugliano.

Vengono da un regno durato nove anni, che ha creato una serie impressionante di personaggi, più o meno meritevoli, dalla portavoce Jessica Nicolini, nominata coordinatrice delle politiche culturali e diventata in questa ultima fase una “irriducibile” sostenitrice del capo, a Ilaria Cavo, oggi deputata residuale di “Noi moderati”, ieri assessora di Toti, molto ambiziosa e determinata, decisa a correre per la presidenza col vessillo del capo, a Marco Scajola della nobile famiglia, assessore di Toti, ma già border line con Fratelli d’Italia, nel cas la supercorrente si sciogliesse, a una pletora di altre figure, il fedelissimo assessore alla Protezione Civile Giampedrone, scudiero di Toti, ai cambiabandiera, come Vaccarezza, il capogruppo in Regione, recentemente passato a Forza Italia e poi a celebrare la cerimonia dei fascisti della Repubblica di Salò…..

Ma lo sconquasso non finisce in Regione perché la data elettorale “mina” anche le certezze di assetto della giunta comunale di Bucci, dalla quale sono prevedibili molte fughe in direzione della regione. Il ruolo di consigliere regionale è molto appetito e diversi assessori sono in predicato di candidarsi.

Il nome più ”imponente” è sicuramente quello di Pietro Picciocchi, vicesindaco assessore ai Lavori Pubblici e al Bilancio, avvocato fiscalista, uomo duro e puro, che oggi è il primo della lista per la candidatura alla presidenza, se non si convincerà Rixi.

Bucci avrebbe dato il suo permesso in un quadro incerto del futuro comunale, anche sulla continuità della sua amministrazione.

Così paradossalmente potrebbe succedere che dopo le Regionali si profilerebbero anche le Comunali e allora lo scatafascio sarebbe a destra, come a sinistra, dove la scelta di uomini-leader è molto più difficile mentre si costruisce un campo largo che ha già i suoi strappi, come la vicenda di Ermini prova in modo evidente.

In questo clima elettrico è anche la città stessa a cambiare pelle, come se si approfittasse dei grandi cambiamenti per capovolgerla.

Ci sono cantieri ovunque, si prepara l’introduzione della zona ZTL nel cuore urbano, si disegnano almeno cinque grandi progetti di posteggi in centro con scavi enormi, ai piedi del Grattacielo di Piacentini.

In consiglio comunale ci si accapiglia per regolare le esibizioni degli “artisti di strada”, mentre un blitz della polizia comunale sgombra il centro sociale più importante “Buridda” dai locali del Magistero. Insomma non ci si fa mancare nulla.

Compreso il cambio di proprietà e, quindi, di direzione de “IL Secolo XIX”, il quotidiano storico di Genova e della Liguria, che ha sempre raccontato tutto e che dovrebbe  continuare a farlo, mentre il nuovo padrone, che sta per entrare in redazione è proprio Gianluigi Aponte, il comandante, il vero padrone di Genova oggi, sopra le inchieste e gli scontri politici.

Un grande bel rebus, perché l’operazione editoriale che ha choccato la città è stata definita con un closing rinviato al 31 settembre.

Tutto ancora avvolto dal mistero. Che giornale sarà “Il Secolo XIX”? Chi lo dirigerà? Chi lo stamperà e dove?

Non era mai successo che in una città cambiasse tutto insieme.

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