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Non era bosniaca non può essere italiana: per il giudice è apolide e integrata, e merita tutti i diritti civili

Èun esempio di integrazione sociale, la storia che viene a galla dal provvedimento con cui il Tribunale civile di Milano ha riconosciuto lo status di apolide a una donna di etnia Rom, ma nata in Italia. Un caso raro, questo, nel nostro Paese e che consente di ottenere una serie di diritti come il permesso di soggiorno, l’istruzione, l’assistenza sanitaria e la pensione.

Status di apolide riconosciuto a una donna di etnia Rom

La vicenda che ha portato il giudice della sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale Pietro Caccialanza ad accogliere la richiesta di una 31enne che non ha mai posseduto alcuna cittadinanza, ha sullo sfondo un percorso che uno degli operatori del Comune che si è occupato della donna, ha definito “premiante”.

I suoi genitori nei primi anni ’90 sono scappati da Mostar per via della guerra nella ex Jugoslavia e quando lei è nata, erano in Toscana. Poiché da meno di un anno era stato costituito lo stato della Bosnia-Erzegovina (che la giovane donna non ha per altro mai visitato) e la situazione politica nei Balcani era difficile, non è stato possibile trasmetterle la cittadinanza.

Rifugiato apolide
Non era bosniaca non può essere italiana: per il giudice è apolide e integrata, e merita tutti i diritti civili (foto Ansa-Blitzquotidiano)

Madre e padre, come lei stessa ha raccontato, sono separati da 16-17 anni. Da almeno otto anni non sente il papà, mentre la mamma, che abita in Germania, in un piccolo paese di cui non sa il nome, la chiama regolarmente al telefono. “L’ho vista l’ultima volta il 13 giugno 2011 – ha raccontato in istruttoria – quando mi sono sposata con matrimonio tradizionale”.

I bambini vanno a scuola e il marito lavora

Oltre a non avere alcun legame con la terra di origine dei suoi famigliari, dopo le nozze giovane è diventata madre di 4 bimbi. Con loro e il marito, al posto di un campo nomadi, vive a Milano in un appartamento assegnatole da Palazzo Marino. I bambini vanno a scuola e il marito è stato ed è in grado “di contribuire a sostenere in maniera dignitosa la famiglia attraverso una ormai costante dedizione al lavoro”.

Un percorso che ha giocato a favore al riconoscimento dello status di apolide concesso in quanto sono stati riscontrati i requisiti necessari. Inoltre, va aggiunto, il consolato di Bosnia ed Erzegovina, da lei interpellato, non ha mai dato risposta circa la sua cittadinanza nel paese. Cittadinanza che l’Italia non le può dare in quanto sono scaduti i termini per la domanda.

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