Con la nuova tassa sul web potrebbe palesarsi il concreto rischio di una fuga di imprese italiane all’estero.
Un pericolo per l’intero settore digitale, e specie per le piccole e medie imprese, le startup e le scaleup… Il Governo sta pensando a una nuova tassa per colpire i grandi colossi del tech e del web, anche se, alla fine, a pagare potrebbe essere soprattutto chi crea sviluppo senza fatturare grosse cifre.
La nuova tassa non è altro che una riedizione della vecchia digital service tax (prima ancora nota come web tax). La manovra finanziaria 2025 vorrebbe infatti introdurre delle modifiche sull’imposta lanciata nel 2021. L’idea è quella di eliminare il limite di fatturato di 750 milioni di euro a livello mondiale e di 5,5 milioni in Italia sull’aliquota del 3% da applicare (oltre alle tasse ordinarie) sul fatturato delle imprese del settore digitale.
Tale scelta potrebbe però penalizzare le tante piccole e medie imprese che cercano di sopravvivere fra costi operativi elevati e di creare sviluppo. Ma il Governo ha bisogno di risorse. E la vecchia tassa sul web (web tax), implementata con l’obiettivo di garantire un più equo gettito fiscale equo e di ottenere contributi dai giganti del settore (Google, Apple, Meta e compagnia bella) sembra sulla carta lo strumento migliore per riempire le casse dello Stato. Da qui la proposta di abbassare il tetto massimo di fatturato per l’applicazione dell’imposta aggiuntiva.
Ma ha davvero senso insistere su questa nuova tassa sul web? L’imposta era stata originariamente introdotta per colpire le big tech americane, come Google e Meta. Ovvero quelle società che pur generando in media oltre 2 miliardi di fatturato in Italia, pagavano al fisco nazionale soltanto poche decine di milioni di euro in tasse, spostando poi i ricavi in Paesi come l’Irlanda. Il modello è noto: lasciare in Italia pochissimi costi e ricavi, riducendo così al minimo il proprio contributo fiscale.
Tassa sul web: le conseguenze dell’estensione dell’imposta alle PMI
La sensazione è che, pur applicando la nuova imposta, non si riuscirà a ottenere troppo di più dai giganti del settore tech. Pagherà invece chi già interagisce con il fisco italiano. E quindi le piccole e medie imprese che per esempio alimentano la filiera dell’ecommerce, un settore che contribuisce a creare un valore per l’intera economia nazionale: oltre 130 miliardi di euro in Italia l’anno, quindi poco sotto il 7% del PIL.
Società che già versano intorno ai 50 miliardi di tasse, corrispondenti a più del 9% delle entrate fiscali del Paese. La nuova proposta del Governo prevede che tutte le aziende paghino ancora di più e che la web tax sia estesa anche alle PMI. Si tratta infatti di rimuovere le soglie di fatturato che fino a ieri avevano escluso le piccole e medie imprese. Tutto ciò per applicare così l’aliquota del 3% senza esclusioni, a ogni impresa che offre servizi digitali.
C’è chi sembra d’accordo: la decisione è vista come un modo per garantire un gettito fiscale equo. E poi c’è chi teme che la modifica all’imposta possa penalizzare le PMI e frenare l’innovazione nel settore digitale in Italia e spingere tante realtà a emigrare.