Nel nuovo ordine mondiale la Cina comunista è il paradiso capitalista, l’occidente declina, Italia ostaggio delle burocrazie.
Cosa distingue l’epoca delle vecchie ideologie dal mondo di oggi? Mussolini, Hitler e Stalin avevano come nemico comune il capitalismo occidentale. Oggi il più grande paese capitalista è la Cina, guidata dal partito unico comunista. Questo partito ha creato finanzieri che possiedono enormi ricchezze, può far conto su masse di lavoratori senza protezione sindacale ma motivati al lavoro e può impossessarsi di territori africani o asiatici come un tempo facevano le Nazioni colonialiste.
L’avanzata dei paesi orientali e il declino di quelli occidentali si deve al globalismo economico senza “rete”. Stiamo scoprendo che la forza dell’occidente non dipendeva dal “laissez faire” economico, bensì dalle cannoniere, dalla supremazia tecnologia e dai dazi protettivi. Tutto ciò annulla i sacri principi del socialismo che vedevano contrapposto capitale e lavoro, dal momento che il più sicuro alleato del lavoratore è diventato l’imprenditore che investe per tenere in vita le aziende. Ne deriva che il bagaglio culturale del catto-comunismo secondo cui il profitto è lo “sterco” della società e che si diventa ricchi solo sfruttando i poveri, va messo in naftalina.
La Cina ha sovvertito l’economia mondiale
Per colpa del globalismo, I lavoratori europei e americani sono stati messi in concorrenza con quelli meno pagati al mondo e i paesi un tempo poveri hanno invaso i nostri mercati con i loro prodotti a basso costo. Gli americani hanno scoperto una “crisi permanente” superiore a quella del 1929. Sentiamo la voce dei disoccupati: “Ho lavorato tutta la vita per la compagnia delle automobili di Detroit e poi hanno cominciato a comprare queste macchine giapponesi”.
E ancora: “Ti può capitare in una notte. Ho visto un sacco di persone che stavano davvero bene e sono diventate “homeless” perché hanno perso il lavoro”. In questi giorni, la Nippon Steel, il più grande gruppo siderurgico giapponese, acquisterà il produttore americano di acciaio US Steel per circa 14,1 miliardi di dollari.
Si aspetta l’esito delle elezioni presidenziali per chiudere il contratto, che comporterà enormi tagli occupazionali. Gli operai italiani comprendono di essere stati traditi allorché vengono licenziati con una semplice Pec: i loro diritti sanciti dalla Costituzione e dallo statuto dei lavoratori si sono dissolti in pochi anni. I vecchi partiti di sinistra e i sindacati non sono più in grado di tutelarli: gli scioperi sono diventati un rito inutile.
La Cina può permettersi di pagare poco la mano d’opera, dal momento che il costo della vita per i beni essenziali, è molto inferiore a quello europeo e americano. Trump potrebbe vincere le elezioni perché il prezzo delle uova durante la gestione “democratica” è raddoppiato. Il partito unico cinese seleziona una classe dirigente di elevato profilo mentre le democrazie vendono i posti di governo ai portatori di voti o ai cortigiani. La Cina sta reclamando un nuovo ordine mondiale e non accetta che la Francia e l’Inghilterra abbiano ancora diritto di veto all’Onu perché le economie di questi paesi sono diventate insignificanti in termini di Pil, di capitali umani e di risorse finanziarie. E’ dunque probabile che la supremazia cinese si realizzi in ogni comparto tecnologico e scientifico.
Di questi problemi incombenti si discute durante le campagne elettorali americane, inglesi, francesi e tedesche. In Italia ci si dedica all’effimero, al punto che le lotte di potere per conquistare un ente inutile come la Regione Liguria sono diventate l’obiettivo centrale dei partiti.
I cambi di classe dirigente in Italia
I comunisti italiani sono stati i più grandi geni politici della storia: hanno incamerato enormi finanziamenti da Mosca sino alla caduta del muro di Berlino del 1989. Non appena hanno avvertito i primi scricchiolii di quel regime hanno fatto un “levone” al comunismo internazionale ed hanno organizzato il più grande esodo di massa, superiore a quello di Mosè con il popolo ebraico. L’enorme esercito di impiegati negli enti pubblici, nei sindacati, nelle cooperative, consiglieri comunali, amministratori di vario ordine e grado, docenti e toghe rosse, si è magicamente riconvertito ai valori del capitalismo occidentale.
L’eredità che ci ha lasciato questa classe politica è stata l’aumento incontrollato delle burocrazie, la tutela esasperata del fattore lavoro, la supremazia del diritto diventato “incerto” e macchinoso, l’introduzione di un sistema giudiziario inefficiente e autoreferenziale, funzionale agli interessi di una parte politica.
La Corte di giustizia europea è formata da giudici nominati dai governi le cui decisioni prevalgono sulle leggi nazionali. La Magistratura italiana rivendica l’autonomia rispetto al proprio governo, ma dipende a sua volta da magistrati europei “nominati” dai rispettivi governi. Da tutto ciò è derivato un sistema “chiuso” che si è radicato ben oltre il consenso elettorale e che è capace di bloccare ogni rinnovamento. Questa classe egemone ragiona ancora in termini ideologici e mette i propri “Valori” al di sopra degli interessi nazionali.
L’Europa sta diventando protezionista mentre i sistemi un tempo protezionisti si sono aperti al libero mercato.
La Stellantis chiede contributi pubblici per restare in Italia e non chiudere i pochi stabilimenti rimasti. Lo stesso fa la Wolswagen in Germania. La crisi dell’auto elettrica segna la supremazia tecnologica della Cina rispetto a quella tedesca e francese: ciò è tanto più incredibile, considerato che proprio l’Europa ha previso di eliminare l’utilizzo dei carburanti.
L’immenso mercato orientale che avrebbe dovuto garantire lo smaltimento dei surplus di produzione europei, non è più interessato alle nostre auto. Senza protezione, lo stesso consumatore europeo acquisterebbe solo auto cinesi. Gli analisti sono concordi nel ritenere che dovranno essere erogati importanti aiuti pubblici per tutelare la nostra mano d’opera.
Tutto ciò va contro i principi del libero mercato europeo secondo cui una Nazione dovrebbe abbandonare le attività produttive “mature” e destinare le risorse ai comparti più competitivi. E’ stato proprio questo principio a giustificare la chiusura di tanti siti produttivi dell’acciaio, a far chiudere le nostre aziende a partecipazione pubblica, a favorire l’esodo delle piccole e medie imprese verso altri paesi.
Ma come individuare il tipo di contribuzione a favore delle imprese che producono auto elettriche, escludendo aiuti agli stessi cinesi? Infatti, il gap tra i produttori europei e cinesi è di natura tecnologica: le auto elettriche cinesi sono superiori a quelle europee e costano molto meno.
La soluzione temporanea sarebbe quella di proibire ai cinesi di vendere auto in Europa, ma questo rimedio sarebbe peggiore del male perché la risposta sarebbe quella di chiudere il mercato cinese ai prodotti europei. La soluzione di consentire alle vecchie auto tradizionali di continuare a circolare, andrebbe contro la politica green voluta dai verdi che condizionano il governo in Europa.
L’unica via di salvezza dell’Europa è il recupero dell’efficienza globale in un sistema di libera concorrenza.
Ci sarebbe un altro modo per risolvere il problema: quello che lo Stato italiano regali ad ogni cittadino italiano un’auto della Stellantis. Non sarebbe fantascienza: è proprio questa la scelta del governo Conte che aveva deciso di rimborsare ai cittadini l’intero prezzo del restauro delle abitazioni.
Gli “economisti” dei 5 Stelle affermavano che sarebbe cresciuto il Pil e lo Stato avrebbe incamerato le tasse sugli utili dei costruttori. In realtà sono stati presi in giro i mercati perché il Pil ufficiale era drogato e lo stesso bilancio pubblico era falso.
Un governo che applicasse questa tecnica dei regali a pioggia avrebbe un elevato consenso popolare ma porterebbe il paese alla rovina. L’unico rimedio è quello di aumentare la capacità competitiva.
Per avere successo, qualsiasi tipo di società deve far conto su un adeguato e crescente spirito di iniziativa che, in pratica, è il più importante fattore della produzione. Aumentare la disponibilità di iniziativa, significa aumentare il numero degli imprenditori e rendere più intraprendenti quelli esistenti.
La classe dirigente è il più importante patrimonio del Paese; essa non si acquista su catalogo ma si forma lentamente e laboriosamente. Le attuali disfunzioni dell’economia, delle burocrazie e delle istituzioni hanno radici lontane.
In Italia, un complesso di forze agisce incessantemente contro la preservazione della concorrenza. Ogni filiera produttiva si avvale di situazioni corporative che diventano parassitarie del sistema a scapito dei consumatori.
La situazione ideale di ogni individuo, sia esso un industriale, un dettagliante, un agricoltore, sarebbe che tutti gli altri membri della società fossero in concorrenza tra loro per acquistare i suoi prodotti o servizi e lui non avesse invece concorrente alcuno.
La gente è in genere unanime nell’apprezzare la libertà di iniziativa e i valori della concorrenza in quanto concetti astratti e generici; ma spesso è contraria ad accettare accordi che limitino quelle stesse libertà. Ciò non deve stupire, perché è un fenomeno sociale comune che la gente sostenga principi anche quando è portata a violarli. Anzi, i problemi sociali sorgono comunemente dal riconoscimento generale della necessità di una data linea di azione, abbinata ai desideri individuali di violarla.
Ne consegue che lo Stato in un paese libero ha un compito importante e decisivo da assolvere per la preservazione della concorrenza. Se non tuteli la concorrenza aumenta il sommerso che è la risposta fisiologica a situazioni di monopolio. Lo spot del ministero delle Finanze sull’evasore fiscale che consuma aragoste a spese del contribuente onesto è una stupidaggine degna di qualsiasi frequentatore di osteria.
Se gli imprenditori vogliono un regime di libera iniziativa, non devono limitarsi a proclamarne i meriti a parole, ma devono astenersi da azioni restrittive che tendano alla soppressione della concorrenza. Ciò significa che essi devono dedicare le proprie energie soprattutto alla ricerca ed allo sfruttamento di idee nuove e devono ricordare che i profitti sono la ricompensa dei migliori metodi di produzione.
L’imprenditore più utile al sistema economico è quello che affronta il codice del rischio. Ho letto su un quotidiano genovese di un certo Spinelli che aveva acquistato le aree ex Ilva, rivendendole con plusvalenza. Poteva andargli male, poteva accadere che la domanda di quei terreni ne comportasse la svalutazione nel tempo.
Questo imprenditore era stato lungimirante rispetto alle decine di altri che avevano snobbato l’operazione ed hanno acquistato solo ex post, quando i loro interessi erano diventati “attuali”. Questo imprenditore di non è stato uno “speculatore” ma un operatore accorto. Ho provato disagio nel sentire le dichiarazioni del figlio, il quale deve al padre le sue fortune industriali, il quale lo ha criticato in ragione degli atti di “prodigalità” verso la classe politica ligure.