Lo smart working non è destinato a sparire: i numeri previsti per il 2025 rivelano uno sviluppo del fenomeno.
Gli italiani dicono no al ritorno in presenza. Nel nostro Paese, nel 2025, lo smart working dovrebbe conoscere un aumento generale del 5% rispetto al 2024. Secondo l’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano, il numero di lavoratori da remoto salirà da 3,55 milioni a 3,75 milioni circa. Un incremento guidato innanzitutto dalle grandi imprese e, in parte, dalle pubbliche amministrazioni. Invece, nelle piccole e medie aziende si preme per un ritorno al lavoro in presenza.
I datori di lavoro preferiscono avere i dipendenti vicini, sotto controllo. Ma la spinta della contingenza implica soluzioni opposte. Le aziende temono che lo smart working possa ridurre il senso di appartenenza e il cosiddetto engagement dei sottoposti: vorrebbero tornare a un’interazione faccia a faccia e a un controllo diretto, fisico, sui dipendenti.
Si tira spesso in ballo anche il problema della sicurezza informatica. La gestione della sicurezza dei dati e delle informazioni aziendali, da remoto, potrebbe in effetti farsi più complessa e caotica. Dopodiché, continuano a essere evocate, un po’ pretestuosamente, preoccupazioni circa la disconnessione dei lavoratori. La paura sarebbe quella che i dipendenti possano sperimentare difficoltà a staccarsi dal lavoro quando agiscono da casa, con problemi di burnout e stress.
Esploso con la pandemia, lo smart working è ormai un fenomeno importante e consistente. Nel 2023 erano circa 3,5 milioni i lavoratori impiegati da remoto. L’anno dopo sono scesi dello 0,8%. Per il 2025 si prevede invece una crescita del +5%. E così il numero di lavoratori da casa potrebbe arrivare a 3,75 milioni unità. Arrestare il trend sembra insomma impossibile.
La ricerca dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano: i numeri del 2025
Lo smart working cresce nelle grandi imprese, dove coinvolge quasi 2 milioni di lavoratori. Nel 2024 erano circa 1,9 milioni i sottoposti in smart, cioè l’1,6% in più rispetto 2023. Un numero vicino al picco della pandemia. Il 96% delle grandi aziende ha dunque consolidato delle iniziative riguardanti il lavoro da remoto. Il fenomeno è invece in calo nelle PMI, dove si passa a 520.000 lavoratori nel 2025 dai 570.000 dell’anno in corso. Resta sostanzialmente stabile nelle microimprese e nella pubblica amministrazione.
Lo smart working è oggi una pratica diffusa e apprezzata, a cui ben pochi rinuncerebbero. Il 73% dei lavoratori che possono lavorare da casa sarebbe fermamente contrario all’eliminazione di questa forma di flessibilità. Di questi, il 27% penserebbe seriamente di cambiare lavoro e dunque di licenziarsi; il 46% si impegnerebbe invece per far cambiare idea al datore di lavoro.
È stato ampiamente dimostrato che lo smart working porta con sé numerosi vantaggi. Dalla flessibilità al risparmio di tempo e denaro (annulla o riduce il tempo e i costi del pendolarismo). Il fenomeno implica anche un aumento della produttività e aiuta a ridurre le emissioni di CO2: meno spostamenti significano meno traffico e dunque un minor impatto ambientale.