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American Horror Story, ovvero un altro presidente schiavo di lobby, armi e guerre

Con colpevole ritardo ho visto solo recentemente la stagione intitolata “Cult” della serie “American Horror Story”. Il tutto si apre con la disperazione e la follia collettiva per la vittoria di Donald Trump alle presidenziali Usa. Da lì in poi la serie prende piano piano un’altra piega andando ad immergersi nei meandri della violenza umana tra armi, stragi e sette varie. C’entra tutto questo con le elezioni appena concluse e con la vittoria di Trump nel mondo reale? Forse no. Anzi, sarebbe meglio un “e chi può dirlo”.

Un dato di fondo, che rimane incastonato nel mondo delle previsioni future, però c’è: gli americani sono strani. Un popolo, una nazione, completamente indecifrabile. Normale, sono centinaia di milioni di abitanti divisi in 50 Stati. Noi non potremmo mai capirli in fondo perché quando ci si avvicina a capire un americano per esempio del Nevada poi si scopre che è completamente diverso da uno della Florida. E così via via nelle combinazioni tra Stati.

Un presidente tra lobby, armi e guerre

Questo è il panorama generale. Una nazione indecifrabile che potrebbe eleggere chiunque come presidente. Questa volta è toccato a Trump ma, diciamoci la verità, sarebbe stata “assurda” anche l’elezione di Kamala Harris. Ed è qui che arriva una piccola considerazione: ma quanto conta realmente il presidente degli Stati Uniti nelle scelte e decisioni da prendere? Senza fare troppa demagogia o troppo populismo-complottismo, soffermiamoci magari su un fatto: Donald e Kamala, nei loro programmi elettorali, avevano un punto in comune. Quale? Beh, siamo negli Usa, quindi non può che essere quello delle armi. Armi libere, armi per tutti, armi facili.

Certe scelte che ora farà Trump e che in passato hanno fatto praticamente quasi tutti i presidenti americani sono dettate anche da altro che con gli elettori ha poco a che fare. Per assurdo proviamo a fare un esempio rigirando completamente il tutto. Vi immaginate un Trump o chi per lui che domattina decide di mettere serie restrizioni sulla vendite delle armi e decide di dichiarare gli Usa paese neutrale in qualsiasi conflitto? A quel punto, con le poche armi rimaste a disposizione, ci sarebbero suicidi di massa tra i vari generali dell’esercito americano. Ma solo dopo il suicidio di massa di tutti i dirigenti dell’industria bellica statunitense.

Chiunque sarà il presidente degli Stati Uniti, armi e guerre s’hanno da vendere e s’hanno da fare. Certo, c’è modo e modo, ma il concetto rimane fisso. E l’elettore americano questo l’ha capito, oppure vuole far finta di non averlo capito. Perché parliamoci chiaro, a chi farebbe piacere vivere in un posto dove una volta al mese qualcuno entra in una scuola e comincia a sparare con un fucile probabilmente comprato in un minimarket. Ecco, a nessuno.

Ma gli americani in America ci vivono e votano, forse anche rassegnati perché sanno che in fondo parte del loro voto serve solo a scegliere un nome al posto di un altro e basta. Insomma, votano per cambiare presidente, e non per cambiare le cose. Certo, se ora al confine col Messico si ritroveranno con un muro che farà invidia all’antica muraglia cinese questo è un altro discorso e allora vale anche lì il principio tanto caro in Italia: “L’avete votato voi”. Ma tanto non accadrà niente di tutto questo.

Aveva quindi ragione “American Horror Story”? Sì, ma esagerando come una serie tv horror è giusto che faccia. Il messaggio che ne esce è che non è il Trump di turno a scatenare sparatorie e odio, è il sistema di base che di fatto regge in parte anche l’economia e la società americana a farlo. E questo sistema non si può cambiare, anche se alle prossime presidenziali i due candidati fossero Gandhi e Mandela.

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