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Infarto, bere latte ogni giorno può aumentare il rischio nelle donne

Recenti studi condotti in Svezia rivelano che il consumo regolare e abbondante di latte potrebbe aumentare il rischio di infarto e di altre malattie cardiovascolari nelle donne. Secondo la ricerca, le donne che consumano quantità elevate di latte non fermentato, come quello abitualmente bevuto a colazione, sarebbero esposte a una probabilità più alta di sviluppare patologie come l’infarto del miocardio e la cardiopatia ischemica. I ricercatori svedesi hanno sottolineato che l’aumento del rischio dipende dalle quantità consumate e che questa associazione è stata riscontrata esclusivamente nelle donne, senza effetti simili negli uomini.

Lo studio

Lo studio è stato guidato da un team del Dipartimento di scienze chirurgiche dell’Università di Uppsala e dal Karolinska Institutet di Stoccolma, istituzioni che vantano una lunga tradizione nella ricerca medica. A capo dello studio, il professor Karl Michaelsson ha analizzato i dati di circa 100.000 svedesi, di cui quasi 60.000 donne, con l’obiettivo di individuare una possibile relazione tra consumo di latte e insorgenza di patologie cardiovascolari. I risultati, pubblicati sulla rivista scientifica BMC Medicine, indicano una correlazione tra latte e aumento dei rischi cardiovascolari, soprattutto per le donne che consumano grandi quantità di latte quotidianamente.

La ricerca si è basata su due grandi studi di coorte condotti in Svezia e ha incluso dati di oltre trent’anni di follow-up. Durante questo lungo periodo di osservazione, sono stati registrati circa 18.000 casi di cardiopatia ischemica e oltre 11.000 di infarto. Analizzando questi dati con tecniche avanzate di statistica, i ricercatori hanno riscontrato che l’assunzione elevata di latte, superiore a 400 ml al giorno (equivalente a circa due bicchieri), sembra associata a una maggiore probabilità di sviluppare malattie cardiovascolari.

una ragazza prepara un cappuccino al bar
Lo studio (blitzquotidiano.it)

 

Un aspetto interessante emerso dallo studio è che non è solo la quantità, ma anche il tipo di latte a influire sul rischio. In particolare, il rischio è stato osservato con il consumo di latte non fermentato, mentre il latte fermentato, come il kefir e lo yogurt, sembra avere un impatto inferiore o nullo. Questa differenza suggerisce che il processo di fermentazione possa modificare le caratteristiche del latte, riducendo la presenza di alcuni elementi come il lattosio, che potrebbero contribuire all’aumento del rischio. I ricercatori ipotizzano che il lattosio presente nel latte non fermentato potrebbe giocare un ruolo chiave nell’aumentare l’infiammazione e mettere sotto stress il sistema cardiocircolatorio, un effetto più evidente nelle donne che negli uomini.

Il professor Michaelsson e il suo team hanno ipotizzato che il consumo di latte possa incidere in modo particolare sul sistema cardiovascolare delle donne a causa di una combinazione di fattori ormonali e metabolici. Le donne, infatti, tendono a digerire meglio il lattosio rispetto agli uomini grazie a livelli mediamente più alti dell’enzima lattasi. Tuttavia, proprio questa efficienza nel metabolismo del lattosio potrebbe paradossalmente contribuire ad aumentare i livelli di infiammazione. Per le donne, il consumo regolare di latte potrebbe quindi avere un impatto significativo, con effetti a lungo termine che potrebbero culminare in patologie gravi come l’infarto e la cardiopatia ischemica.

La cardiopatia ischemica è una delle forme di malattie cardiache più comuni e pericolose, causata da una riduzione del flusso sanguigno al cuore. Tale riduzione è spesso dovuta a un accumulo di placche di grasso che ostruiscono le arterie coronarie. Con il tempo, questo processo può limitare l’apporto di ossigeno al cuore, causando dolori al petto e, nei casi più gravi, un infarto. L’infarto del miocardio, invece, si verifica quando un’arteria coronaria è completamente bloccata, impedendo al sangue di raggiungere una parte del cuore, che così rimane danneggiata o smette di funzionare. L’identificazione di fattori di rischio specifici, come il consumo di latte non fermentato, è essenziale per capire come ridurre l’incidenza di queste gravi patologie.

In base ai risultati dello studio, i ricercatori raccomandano di preferire il latte fermentato a quello non fermentato per coloro che vogliono mantenere l’abitudine di consumare latte ma sono preoccupati per la salute cardiovascolare. Il latte fermentato, come yogurt e kefir, infatti, contiene probiotici naturali che potrebbero avere effetti benefici sul sistema cardiocircolatorio, contrastando l’infiammazione e riducendo così il rischio di patologie cardiovascolari. Questi prodotti, inoltre, hanno un contenuto ridotto di lattosio, il che potrebbe spiegare il minor impatto sulla salute del cuore rispetto al latte non fermentato.

Anche se i risultati del lavoro svedese sono rilevanti, è importante considerare alcuni limiti dello studio. La ricerca è stata infatti di tipo osservazionale, il che significa che le associazioni individuate non possono essere interpretate come un rapporto diretto di causa-effetto. Il professor Michaelsson e il suo team hanno analizzato un ampio campione di partecipanti e adottato metodologie statistiche rigorose, ma rimane necessario approfondire ulteriormente questi risultati. Studi futuri, possibilmente sperimentali, saranno indispensabili per verificare e confermare la relazione tra consumo di latte e rischio cardiovascolare nelle donne, chiarendo le basi biologiche di questa possibile associazione.

Le indicazioni dello studio non dovrebbero portare a cambiamenti improvvisi nell’alimentazione senza prima consultare un medico o uno specialista. Il latte, infatti, è una fonte importante di calcio, vitamina D e proteine, nutrienti essenziali soprattutto per la salute delle ossa. La dieta di ogni individuo è unica e complessa e deve essere valutata nel suo insieme; pertanto, una decisione avventata di eliminare il latte potrebbe comportare carenze nutrizionali. È sempre consigliabile discuterne con un nutrizionista, che può valutare il singolo caso e consigliare alternative alimentari, se necessario.

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