Genova ritorna al ‘68, sommersa dal declino e dall’ignavia dei politici. Ancora una volta parte tutto da qua, dall’ombra della Lanterna, tra le banchine del porto in neocostruzione, i mille progetti di Marco Bucci, sindaco e oggi presidente della Regione, i cantieri che strozzano la città, i “mugugni “ in zeneise stretto e una maggioranza di centrodestra che scopre di avere in tasca pochi talenti e un centrosinistra che si scanna per trovare nuovi leader.
Una rivoluzione per Genova
Parte una rivoluzione giovanile e non solo, di associazioni, sigle, movimenti, tra raffinali social liberali e musi duri del volontariato, cattolici romantici e atei pentiti, riformisti insoddisfatti e liberal scesi dall’Aventino, gente “de sinistra-sinistra”, che vuole dare una scossa alla politica imbalsamata da tempo nel confronto.
Confronto neppure spettacolare tra i Bucci&Company, con a latere il deus ex machina Claudio Scajola, eterno e vincente e gli Andrea Orlando&Soci, sconfitti, ma a un pelo dalla riscossa, con a latere Claudio Burlando, l’ex di tutto, che vuole tirare i suoi fili da burattinaio, tra una raccolta di funghi a Torriglia e una chat fin troppo Vasta.
I giovani non ne possono più
Non ne può più questa generazione anche molto trasversale, seppure occhieggiante più a sinistra, di uno schema nel quale la città si sta rattrappendo in modo esponenziale.
Ogni giorno un cimitero, una chiusura di un tempio, sia il negozio di giocattoli che faceva sognare generazioni di piccoli “Il Paradiso dei bimbi”, nel cuore del centro città, la libreria antica con trecento anni di Storia, Bozzi, la cartoleria con i cassetti di legno, le telerie tradizionali, ma anche i punti di ristoro come Moody, ex Motta, luogo cult dagli anni Sessanta in avanti.
E questa è solo la superficie di un declino strisciante, innescato dall’invasione dei Supermercati, sia la Esselunga della riscossa liberal anti Coop comuniste, sia il formicaio di piccoli discount ovunque.
Quello che fu un Eldorado
Le grandi questioni industriali invano bloccate da lustri, l’ex Acelor Mittal, l’ex Ilva, ex Italsider, la grande acciaieria che giace nell’Eldorado di Genova, il territorio, che tutti vorrebbero, ora che Spinelli non può più accatastarci i suoi container, e che sta lì indeciso del suo destino, che nessuna governance di sinistra, di destra , di centro, meloniana o scheleniana o draghiana, ha saputo impugnare.
E la Piaggio aerei, un pezzo della storia industriale italiana che da decenni vola basso, bassissimo e tutti temono anche che atterri per sempre, magari nell’aeroporto di Genova, la barzelletta genovese per definizione, dove arrivi e sulla pista c’è solo un aereo, dove se vuoi andare a Roma paghi 300 euro e dove stava arrivando Aponte per comprar le azioni e l’hanno stoppato le solite manovrine zeneixi. Maniman…..
Genova città di vecchi
Ogni giorno una statistica demografica che sottolinea i numeri della città più vecchia d’Europa, quella dove l’indice di vecchiaia è il più alto, dove i nuclei unifamiliari superano oramai ogni altra aggregazione sociale. Dove i supercentenari sono più di quattrocento e l’orizzonte silver non è studiato da nessuno.
“Che fare?” urla il titolo della grande assemblea aperta che la nuova ondata ha annunciato per lunedì sera, in un luogo in qualche modo iconico, il Teatro della Tosse, invenzione di Tonino Conte, uno di quelli che negli anni Settanta, Ottanta, Novanta, insieme a Lele Luzzatti, Renzo Piano, Ivo Chiesa, Edoardo Sanguineti e magari Fabrizio De Andrè e non molti altri, faceva risuonare squilli di cultura in una città, in una Regione dove questa è oramai una Cenerentola.
La delega degli assessori
I nuovi governanti la scambiano per educazione civica, spettacolo, turismo, intrattenimento e la relativa delega o non viene assegnata agli amministratori pubblici, oppure in fondo a un mucchio di competenze che la stritolano.
Mentre l’identità culturale di questa terra potrebbe essere la miccia per accendere un falò vero.
Che fare? Urlano le nuove stratificazioni di movimento in cui cerchi invano una identità precisa. Gli organizzatori dell’Assemblea aperta, sì proprio assemblea, come quelle del 1968, dove se vuoi ti alzi e parli, sono difficilmente tutti identificabili.
Andrea Acquarone, quarantenne esperto in Finanza, ma non solo. Famiglia borghese e spinte politiche verso una sinistra liberale, mobilitatore, giornalista scrittore, appassionato di dialetto genovese, un inedito per la sua generazione, che vive tra Genova e Barcellona, ma per Genova si batterebbe come don Chisciotte della Mancia.
Aldo Montori, l’ex amministratore de Il Ces.to, una cooperativa sociale che ha cambiato il cuore del centro storico di Genova, un arcipelago di attività educative, ricreative, sociali, culturali.
“Basate” sui Giardini Luzzatti, un parco urbano sospeso tra le magnificenze di Sarzano e del Museo di Sant’Agostino e piazza delle Erbe, ombelico di una rinascita “strozzata” del centro storico, altra imnbalsamatura in peggio di Zena. Due delle zone che hanno riscattato in parte i caruggi genovesi.
Montori è in realtà un supermanager, che qualsiasi azienda vorrebbe avere, è una miccia accesa che fa anche un po’ paura agli establishment seduti dei partiti di sinistra, che lo temono come possibile candidato, magari perfino a sindaco.
Che fare? Dietro alla domanda di Lenin, che potrebbe far tremare una parte del movimento in evoluzione, quella più riformista, che si è rotta le scatole delle evoluzioni renziane e calendiane, anche nelle amministrazioni genovesi e liguri.
Qui si agita la delfina di Renzi, Raffaella Paita, la donna più movimentista dell’area genovese dell’ultimo ventennio, da militante Pci spezzina, a candidata presidente regionale sulla scia di Burlando, a sconfitta da Toti dopo le scissioni nel Pd per mano di Sergio Cofferati, genovese di adozione , diventata a Roma vice leader renziana.
E si agitano i transfughi pd come Pippo Rossetti, ex dc di origini lontane e trasmigrato in Azione, con scarsi esiti elettorali.
Fra questi estremi c’è il riassunto della scossa che si vuole dare alla città alla vigilia di un inverno durissimo.
Il cambio tra Comune e Regione di Marco Bucci, che sta già cavalcando il suo nuovo ruolo ligure con una giunta rappezzata alla meglio, con un personale di assessori molto modesto, messo insieme solo dall’abilità di Claudio Scajola, sindaco di Imperia, che ogni sera pazientemente arrivava a Genova per fare da collante tra i partiti e le liste civiche, che litigavano per i loro spazi nel governo dell’ex scindeco ch’o cria.
E il povero Bucci ha già incominciato a gridare anche in Regione, dove per parare il disastro della Sanità ha nominato un assessore, un oculista, già vicesindaco, quattro saggi esperti al suo fianco e un Consiglio Superiore della Sanità fatto di sedici medici, scelti dall’onnipotente infettivologo, superstar, Matteo Bassetti.
Che fare? L’assemblea di lunedì sera sarà come una esplosione di insofferenza, ma anche una linea nuova di movimento tra quelle due contrapposizione imbalsamate croniche. Con Toti ridotto al silenzio e ai lavori sociali, con la destra che vara una giunta di pezze a colori, con la parola d’ordine del centro destra regionale che sono solo “infrastrutture a gogo”,
Mentre nulla si muove sulle autostrade, sulle ferrovie, nei valichi bloccati perfino dalle bolle di gas, che fermano gli scavi o dalle talpe cinesi che impiegano anni per arrivare a Genova a scavare i tunnel degli scolmatori del fiume alternativamente assassino, il Bisagno, che sono tunnel salvifici dalle alluvioni.
Con il nuovo sindaco in pectore, l’avvocato Pietro Picciocchi, vice sindaco di Bucci e reggente fino alle prossime elezioni, la cui data bascula tra maggio e novembre prossimi come se fosse una data a caso, che cerca di cambiare rotta per ascoltare una città che protesta.
Che si incazza, perché i lavori del ribaltamento a mare del grande cantiere delle navi di Fincantieri fanno tremare le case di Sestri Ponente, la Stalingrado di Genova ai tempi del Pci egemone, che non ne può più della mala manutenzione di strade, verde pubblico, di cantieri ovunque, di traffico impazzito, del processo per il crollo del Morandi che arriverà a sentenza, forse, otto anni dopo la sciagura.
Mentre le autostrade liguri sono ancora gimkane mortali e il sindaco di Torino ricorda che si fa prima dalla sua città ad arrivare a New York che in Liguria.
Che fare? Nel 1968 avrebbero fatto la rivoluzione, occupato dove si poteva. Oggi a occupare sono stati quelli del “Buridda”, centro sociale residuale, che in un sabato di autunno ha bloccato la città per andarsi a rioccupare la sua vecchia sede, nell’ex Facoltà di Economia e Commercio, proprio sopra la elegante piazza Corvetto, un edificio che sta cadendo a pezzi e che Bucci e Picciocchi avevano promesso di recuperare.
E pensare che quella sede del centro sociale era stata fatta sgombrare dal sindaco più di sinistra che Genova ha avuto negli ultimi anni, il marchese Marco Doria, benedetto da don Gallo.
Che, qualcuno lo spergiura, Marco Doria potrebbe partecipare all’assemblea “Che fare”? Chissà…..