E insomma, la politica italiana è tornata a parlare del Ponte sullo Stretto. L’approvazione, giura e spergiura Matteo Salvini, arriverà a dicembre. “Ci stiamo lavorando – racconta orgoglioso – soprattutto perché, secondo le stime della società, creerà 120.000 posti di lavoro, non solo in Sicilia e Calabria ma in tutta Italia.” Chissà, forse questa sarà la volta buona. Non si sa bene da dove arriva la stima dei 120mila posti, ma viene da chiedersi: non si potrebbero creare gli stessi posti di lavoro per realizzare opere un po’ più urgenti? Sistemare il territorio? Riorganizzare e migliorare il sistema autostradale e ferroviario siciliano? Aiutare i pendolari del Sud a percorrere tragitti meno tortuosi e lunghi? Mettere in sicurezza le abitazioni nelle zone più sismiche?
D’altronde, lo aveva detto lo stesso Salvini in un lampo di sincerità: “Se ci fosse oggi un terremoto come quello che distrusse Messina, l’unica struttura che resterebbe in piedi sarebbe il ponte, perché più è alta la struttura, più assorbe l’urto Non lo dico io, ma centinaia di architetti e ingegneri.” Ecco, non si potrebbe prima fare in modo che, in caso di terremoto, rimanesse in piedi anche qualche casa? Magari si potrebbe evitare anche qualche morto.
Non è benaltrismo, ma, in teoria, uno Stato dovrebbe occuparsi prima delle cose più urgenti e necessarie. Almeno prima di spendere non si sa bene quanto in un Ponte sullo Stretto. E poi magari, dopo aver risistemato le strade italiche, le autostrade, i collegamenti ferroviari, i vagoni dei pendolari; dopo aver messo in sicurezza le case in zona sismica e le scuole che continuano a crollare, perché no? Allora si potrebbe anche pensare a un bel Ponte. O forse no. Magari, costruendo il Ponte sullo Stretto, per magia crolleranno meno scuole. Meno case durante i terremoti. Speriamo. E speriamo almeno che il Ponte non faccia la fine del centro migranti in Albania.