Si può anche già iniziare una piccola ricognizione per regalare un buon libro a Natale, giusto per non farsi trovare troppo impreparati al dunque. Chi abbia apprezzato American Fiction al cinema o in streaming, non rimarrà deluso da “James”, ultimo romanzo di Percival Everett, prolifico autore che per convenzione dovremmo etichettare come afroamericano.
LeggerMente: “James” di Percival Everett
In Erasure (tradotto in italiano con Cancellazione, è il romanzo del 2001 da cui è tratto American Fiction) Everett affrontava con ironia, rassegnazione e una buona dose di preveggenza la condanna di un nero americano ad aderire agli stereotipi impostigli per cui deve necessariamente interpretare la vittima anche quando è debitamente istruito, non frequenta il ghetto, non corrisponde al profilo estetico del gangstarapper.
In “James” (trad. dall’inglese di Andrea Silvestri, pp. 333, € 20, La nave di Teseo), Everett non ha paura di usare la parola proibita, la cosiddetta “N word”, e si confronta con un monumento dell’epica narrativa americana, “Le avventure di Hucklberry Finn” di Mark Twain. Nell’ordalia censoria del puritanesimo woke c’è finito anche questo romanzo picaresco di irresistibile umorismo, messo all’indice perché lo schiavo nero Jim è definito “nigger”, alla fine dell’Ottocento.
Everett riparte da lì, da James: la stessa storia – la schiavitù, l’evasione, le avventure sul Mississippi, gli assurdi incontri – ma stavolta dalla prospettiva dello schiavo fuggiasco. Un antidoto agli abusi del politicamente corretto, senza piagnistei, senza cancellazioni, senza tabù. Una lezione di stile.