Mentre il mondo prosegue la sua costante marcia verso un progresso tecnologico sempre più all’avanguardia, talvolta rivelandone i lati più invasivi e contraddittori, la televisione nonostante tutto continua a rimanere uno dei mezzi di comunicazione più influenti, data la sua semplicità d’accesso per un pubblico di massa.
Tutto questo accadeva anche quarant’anni fa, quando il boom televisivo in tutto il mondo evidenziava un rapporto uomo-schermo del tutto nuovo, idiosincrasie e complessità incluse. Sarà anche cambiata la forma, dal tubo catodico allo schermo piatto, ma gli aspetti dietro questa tecnologia, e il suo ascendente sulla gente, non sono cambiati granché. Proprio quarant’anni fa, un film più di altri ha scavato nelle profondità di queste e tante altre tematiche. Oggi, infatti, vi consigliamo Videodrome, di David Cronenberg.
Videodrome, di David Cronenberg
Max Renn (James Woods) è il proprietario di una piccola stazione televisiva, la Civic TV, che trasmette video a luci rosse e contenuti violenti di vario tipo. Partecipando a un talk show, Renn incontra due figure: una misteriosa e seducente donna, la speaker radiofonica Nicki Brand (Deborah Harry), e un uomo, Brian O Blivion, che fa annunci profetici sulla pericolosità della televisione, comunicando solo ed esclusivamente attraverso registrazioni video.
L’amico di Renn, il tecnico televisivo Harlan, gli rivela di aver intercettato uno strano segnale satellitare che trasmette un programma intitolato Videodrome. Questo programma mostra contenuti decisamente espliciti e Renn, trattando a Civic TV argomenti dello stesso tipo, decide di aggiungerlo alla sua programmazione. Nel tentativo di mettersi in contatto con i produttori di Videodrome, però, l’uomo si ritrova al centro di una spirale di violenza, allucinazioni e complotti di vario tipo.
Dimensione televisiva e sovraesposizione
Che il cinema di Cronenberg si sia fatto precursore del body horror è cosa ormai nota. Si tratta di una contaminazione di genere attraverso la quale si rappresenta, anche allegoricamente, la repulsione verso la carne, spesso mostrata con deformità o cambiamenti inquietanti del corpo umano.
Quello che Cronenberg mette in scena con Videodrome è soprattutto la connessione, che si fa anche fisica, tra il corpo e la macchina. Estremizzato dai paradigmi del body horror, questo rapporto si contraddistingue per la fusione tra realtà e dimensione televisiva, all’interno della quale, come in un liquido, diventa sempre più difficile riconoscere i confini dell’una e dell’altra.
Ciò che catapulta questo film dagli anni Ottanta direttamente ai giorni nostri, oltre a un sincero invito alla visione, è un concetto molto attuale su cui Videodrome ha saputo riflettere con un certo stile e una magistrale ricchezza contenutistica. Si fa riferimento a una sorta di saturazione mediatica, che potremmo definire ancora meglio con il termine sovraesposizione. Nulla di troppo astratto. Più semplicemente si parla di una condizione estraniante, quasi catatonica, nella quale l’uomo si ritrova a sprofondare dissociandosi dalla realtà, perché saturo di contenuti, di informazioni e, nel caso di Videodrome, alla ricerca di qualcosa che gli dia emozioni sempre più forti. No, non era il 2024, ma il 1983.