Ha ragione Giuseppe Sala, il sindaco di Milano. Spiega: “Il campo largo non si fa con una foto”. Ci vuole ben altro: bisogna pensarla alla stessa maniera, avere in mente un programma ben preciso. Gira che ti rigira si parla ancora una volta di questo tanto “agognato centro”.
Perché quello che invoca Sala non è altro che un nuovo assetto politico lontano dalla rivoluzione voluta da Elly Schlein e più vicino ad un moderatismo che gli italiani non disdegnerebbero affatto. In fondo, se Giorgia Meloni sta avendo successo soprattutto in Europa lo si deve a questo suo atteggiamento che è più da statista che da leader di un partito di maggioranza.
Schlein vuole la rivoluzione
E’ una scelta tranquillizzante che mette il quieto vivere al primo posto. E’ proprio quello che vogliono gli abitanti del nostro Paese, stanchi di chiacchiere, litigi e pochi fatti significativi. Giusto, è un sacrosanto diritto quello di invocare la calma e il progresso. Però, per arrivarci non è facile.
Chi combatte Giorgia Meloni e vorrebbe un cambio della guardia a Palazzo Chigi è un miscuglio di forze che non riesce a trovare un denominatore comune. I cosiddetti esponenti del campo largo si incontrano in un convegno, magari hanno anche parole di buon senso, si fanno fotografare come quando i giocatori della nazionale si abbracciano quando sentono risuonare le note dell’inno di Mameli.
Ma poi, dopo le immagini che arrivano su tutte le prime pagine dei giornali, che cosa succede? Nulla o quasi. Si è sempre al punto di partenza, si torna al “via” come nel gioco del Monopoli.
La sinistra di Sala guarda al centro
Sala non disdegnerebbe affatto di guidare un’opposizione di centro-sinistra, badate senza il sostantivo centro non si va da nessuna parte. Ma, da politico navigato e da persona di buon senso, vuole vederci chiaro e non si fa travolgere da uno sfrenato ottimismo. Chiede lumi e spiegazioni, non si fida delle parole pronunciate da un palco durante una manifestazione di parte.
Aspetta, dunque, una risposta precisa soprattutto da Elly Schlein che di questo campo dovrebbe essere la protagonista del gruppo. La segretaria risponde in politichese, cioè in quella lingua che dice e non dice: “Noi siamo uniti”, ripete con enfasi. “La nostra avversaria è soltanto la Meloni”.
Si prendano per buone le sue affermazioni. Come mai, allora, a sinistra non si raggiunge mai il traguardo? Perché quando si è al dunque e si vuole stringere il patto definitivamente c’è sempre qualcuno che interviene e annuncia: “Attenzione, al tempo”?
Quel qualcuno ha un nome e un cognome, si chiama Giuseppe Conte che è il presidente dei 5Stelle. L’avvocato del popolo è il principe del “ni”. Finge di arrivare ad un accordo, ma la verità è che lui non vuole essere un secondo, un uomo da panchina. Vuole scendere in campo da titolare e magari essere il capitano e non uno dei tanti cespugli che formerebbero questa coalizione. Così si va avanti e indietro come nel ritornello di una vecchia canzone di successo.
Ecco il motivo per il quale il sindaco di Milano ha pienamente ragione e procede con i piedi di piombo. Fin quando la minoranza riterrà che le parole fascismo e antifascismo rappresenteranno il suo campo di battaglia, la destra non dovrà aver paura di nulla. Sono idee ormai superate dalla storia che le vede solo chi non le vuol vedere. Ci vogliono altri programmi, nuovi e con suggerimenti e manovre ben precise, altrimenti è notte fonda e il centro rimarrà soltanto un sogno.