A Vigevano un altro caso Englaro? No: l’uomo in coma non aveva detto di volere un figlio in queste condizioni e con l’inseminazione artificiale. Eluana non c’entra e dal giudice viene un motivato no

Come nel caso di Eluana Englaro…”: così, per assonanza di cronaca e automatismo culturale, scrive il cronista di Repubblica e molti altri insieme a lui. E invece no, con Eluana e la sua storia il caso della inseminazione artificiale negata da un giudice ad una donna che voleva utilizzare il seme del marito in coma non c’entra nulla. Anzi.

Eluana aveva manifestato la sua volontà di non essere mantenuta ad ogni costo in uno stato che non giudicava di vera vita, di essere alimentata con sonde e cannule. Questa manifestazione di volontà fu accertata dai giudici interrogando familiari ed amici, insomma furono trovate le prove testimoniali della sua volontà.

Al contrario, nel caso di Vigevano, la donna e i suoi avvocati sono riusciti a portare davanti al giudice solo la generica prova che l’uomo ora in coma voleva diventare padre. Ma in nessun modo hanno potuto dimostrare che volesse farlo con la tecnica dell’inseminazione artificiale e con la scelta di mettere al mondo una creatura di fatto orfana. Quindi, razionalmente e giustamente, il giudice non solo non ha trovato volontà da registrare ma ha anche soppesato i diritti in campo. Quello dell’uomo in coma di decidere, cosa che non può, e quello del nascituro.

Restava solo la voglia, umanamente comprensibile ma legalmente non prevalente, della donna di essere madre. Di qui il diniego al prelievo del seme e all’inseminazione. Peccato che la “pigrizia di cronaca” aiuti l’opinione pubblica a far confusione mescolando e confondendo diritti legittimi e umane voglie. Non sono la stessa cosa e, per fortuna, non coincidono.

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