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AI, Intelligenza artificiale: tutti ne parlano, nessuno la regolamenta, Meloni si confida a Tokyo: e in Italia?

AI che? Si fa presto a dire Intelligenza artificiale. Si fa presto a celebrarne i vantaggi, ad esaltare il traino che  avrà per lo sviluppo del mercato digitale italiano.

A garantire un giro di affari nel 2025 di almeno 700 milioni (fonte Anitec-Assimform, Confindustria). Tuttti ne parlano. Sei ragazzi su dieci ne hanno una opinione positiva, come ha certificato l’ultima indagine di Telefono Azzzurro, la Onlus di Milano che difende dal 1987 i diritti dell’infanzia.

La premier Giorgia Meloni lunedì 5 febbraio, in una lunga intervista al quotidiano nipponico Yomiuri Shimbun – il giornale più diffuso al mondo (9,2 milioni di copie giornaliere) – ha espresso le sue riserve. In buona sostanza si è dichiarata preoccupata dell’utilizzo (distorto) della intelligenza perché  “può spazzare via la classe media;  e  molte professioni, anche altamente qualificate, rischiano di essere rapidamente sostituite da algoritmi, causando crisi sociali, ampliando il divario tra ricchi e poveri”. E non solo: l’intelligenza artificiale può esercitare “ingerenze elettorali “ producendo un flusso enorme di fake news. Una mina sui processi democratici.

I RISCHI MAGGIORI DELLA TECNOLOGIA INFORMATICA
Sono tre: disoccupazione, crescita della disparità economica e cybercrime. L’intelligenza artificiale è una tecnologia innovativa e potente perché elabora fino a miliardi di dati in pochissimo tempo per trasformarli in una risposta. È in grado di identificare tendenze di mercato in tempo reale, può migliorare l’esperienza di acquisto online, personalizzando le offerte, i prodotti e i servizi in base alle preferenze dei clienti.

E c’è dell’altro: ad esempio consente di ottenere prestazioni di una migliore assistenza sanitaria, automobili, servizi su misura, una facilità di accesso all’informazione, all’istruzione, alla formazione. Ma con l’automazione si realizzano anche  processi che sostituiscono il lavoro dell’uomo. A rischio 3,8 milioni di posti di lavoro (stime del sito di economia e finanza “Soldi Online”).

E non  va dimenticato l’abuso della tecnologia informatica per la commissione di vari crimini come ad esempio le recenti  truffe a compagnie telefoniche o l’utilizzo della Rete per il traffico di pedofilia. Occhio, i cybercriminali sono in aumento. Allora, che fare?

URGENTE UNA REGOLAMENTAZIONE
Fare presto. L’esperienza del “Far West influencer” (e le sue gravi deviazioni etiche) non può non aver lasciato un segno. Bisogna dunque fare regole chiare in grado di assicurare la protezione dei diritti fondamentali, la sicurezza, la privacy, la responsabilità e la trasparenza; regole capaci di tener conto (e bilanciare) il processo galoppante di innovazione, competitività, crescita.

L’uomo va difeso con una nuova etica. O come titola l’ultimo libro del professor Antonio Giannone del Politecnico di Torino: occorre un “Umanesimo digitale”. Occorre promuovere una cultura digitale  basata sulla sicurezza e sulla educazione. Non è facile di questi tempi. Ma è indispensabile. Pena un dannoso arretramento.

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