Argentina peronista e italiana. Anche il probabilmente futuro presidente dell’Argentina, eletto nel ballottaggio del prossimo 19 novembre, sarà di origini famigliari italiane molto vicine nelle generazioni. Come il suo rivale e ex favorito Javieri Milei.
Sergio Massa, il vincitore a sorpresa del primo turno contro il travolgente Javier Milei, alfiere di una destra rivoluzionaria e dirompente nel suo programma, è figlio di Lucia, triestina e Alfonso, siciliano di Niscemi, immigrati del Dopoguerra. Anche i nonni di Milei erano italiani.
I suoi genitori fecero fortuna con una impresa edile e lui con la politica, che potrebbe portarlo alla Casa Rosada, al terzo tentativo, ennesimo leader “marchiato” dall’ideologia peronista, nata in Argentina nel primo Dopoguerra grazie al generale Juan Alberto Peron.
Studi in Italia, Accademia militare in Italia, inventore di una miscela populista, buona per la destra e buona per la sinistra, con un ingrediente di populismo che ha sempre generato governi e leader, salvo il periodo buio diventato nero negli anni Settanta-Ottanta con la dittatura militare.
Salvo il ritorno dopo una parentesi liberal radicale, finita male anche quella, ma per ragioni diverse nel 2001, con il crak finanziario.
Massa è un peronista “dolce”, tanto dolce da uscire indenne e vincitore dall’ultimo governo fallimentare, quello di Alberto Fernandez, che sta portando alla rovina l’economia argentina con un’inflazione al 128 per cento e un debito di oltre 44 miliardi di dollari, che cresce, cresce.
Lui era il ministro dell’Economia dopo varie capriole politiche incominciate in tenera età, culminate già in diverse candidature alla presidenza, fino al rientro nel peronismo”largo” del “Frente de Todos”.
Come questo cinquantunenne, furbo come una volpe, sia riuscito a arrivare primo, sconfiggendo Milei contro tutti i pronostici, un tipo che si presentava ai comizi imbracciando una moto sega come simbolo del suo programma di tagliare la casta peronista, la banca centrale e tutta la burocrazia divenuta una giungla e di imporre la dollarizzazione della asfittica economia argentina, si spiega solo con la sua capacità di mediare tra tutte le anime peroniste, compresa quella di Cristina Kirchner, vice presidente uscente di Fernandez, il leader crollato nei consensi popolari a quota 15 per cento.
D’altra parte nell’ultima ventennio il grande paese sudamericano non era stato mai così a rischio totale di fallimento. Cristina Kirchner e prima suo marito, Nestor hanno occupato la presidenza e la casa Rosada per un quindicennio fatale all’Argentina.
Quando Jorge Bergoglio, l’arcivescovo di Buenos Aires, fu a sorpresa eletto papa, dopo le dimissioni di Benedetto XV, la presidentessa aspettò un bel po’ prima di andare a riverire a Roma, in Vaticano, un argentino diventato Pontefice massimo della Chiesa cattolica.
I suoi rapporti con la Chiesa non erano affatto buoni a dimostrazione di un carattere duro, scostante e di una interpretazione del peronismo molto estrema e di una lontananza da quel grande gesuita argentino divenuto il successore di Pietro.
Massa sarebbe, invece, “il meno peronista dei peronisti”, secondo l’analista Julio Burdmann, esponente di un Osservatorio politico molto preciso nei suoi giudizi.
Vuol dire che questo acrobata della ideologia che si identifica oramai geneticamente con l’Argentina riesce a non urtarsi con il fronte sinistro del grande movimento e non scontenta gli Stati Uniti, con i quali il suo cadente governo stava negoziando la voragine del debito.
“Il peggio è passato” – ha spiegato in campagna elettorale questo ministro dell’economia dopo essersi sganciato sia dalla potente Cristina, la zarina oramai in piena decadenza, sia dal presidente uscente.
E una buona parte degli argentini gli ha creduto se ora egli veleggia verso il ballottaggio, con oltre il sei per cento di vantaggio sul concorrente Milei, che tutte le previsioni davano in vantaggio e qualcuno addirittura vincente al primo turno, se avesse raggiunto il 40 per cento. Massa si è fermato al 36, ma il colpo al concorrente potrebbe essere decisivo.
A meno che il terzo incomodo, cioè l’alleanza di un destra conservatrice, rappresentata da una signora, Patyricia Bulirich, ex peronista tanto per cambiare, vicina a Menem e ministra di Macri, il predecessore di Fernandez, che ha conquistato il terzo posto con il 23 per cento, non sconvolga i piani di uno o dell’altro. Ma è difficile che questa signora porti i suoi voti a Milei, che è un anarco capitalista, molto conservatore in materia sociale.
La partita argentina nel mondo sconvolto di questo tempo potrebbe sembrare un dettaglio minore nel subcontinente americano, sempre scosso da cambiamenti repentini e spesso rivoluzionari, come in Venezuela, in Bolivia, in Perù. Ma tutto circoscritto in quella area.
Oggi con la politica a sorpresa di Lula, il presidente del Brasile, colosso sudamericano, tornato in auge, dopo la devastante parentesi della presidenza del capitano Bolsonaro e la sua detenzione per una accusa di corruzione poi caduta, tutto può succedere.
L ‘Argentina stava accogliendo le proposte brasiliane di Lula di una “integrazione regionale” e condivideva la proposta per una moneta comune per evitare l’utilizzo del dollaro come moneta commerciale. Una mossa sconvolgente, da inquadrare nella politica a sorpresa del Bric, i paesi non allineati e emergenti.
Questa operazione con coincide molto con l’approvazione della Casa bianca a un eventuale successo di Massa.
D’altra parte l’Argentina stava anche “trattando” molto con la Cina, alla quale la Kirchner aveva venduto un pezzo di “Terra del fuoco” per una base artica di studio climatico e non solo.
Con Pechino Fernandez aveva anche trattato la costruzione di un porto nella “terra del fuego”, da parte di una compagnia cinese per imbarcare materie prime e costruire anche una centrale elettrica.
Non solo: proprio Massa aveva chiuso un accordo con la Cina per effettuare i pagamenti in yuan delle importazioni commerciali e compensare parte del debito con il Fondo Monetario internazionale, evitando di attingere alle riserve sempre più scarse di dollari.
Allora, Stati Uniti o Cina?. L’Argentina balla tra queste prospettive e Massa sembra il più flessibile.
D’altra parte qual è la caratteristica del peronismo, se non quella di essere flessibile, adattabile e Massa non è una garanzia in questo senso?
Questa terra ricca di materie prime e di immensi e redditizi spazi naturali, tanto da essere stata battezzata proprio come la terra dell’Argento, dopo “la Belle Epoque” degli anni d’oro. è sempre stata in bilico tra una possibile immensa fortuna e un disastro totale.
Incapace di essere governata, passata dal populismo dei descamisados di Peron e di Isabelita, poi dei loro epigoni, sempre più fragili, poi sotto il tacco dei militari, fino alla terribile giunta di Videla, oppressore e assassino di oltre 30 mila desaparecidos e di ogni opposizione, capace di dichiarare guerra all’Inghilterra per le isole Falkland, poi riconquistate da Margaret Tatcher, con una battaglia navale d’altri tempi, resta sempre sull’orlo del precipizio.
In Italia la si guarda con particolare interesse. Il 50 per cento della sua popolazioni ha radici italiane.
L’ultimo Papa è stato scelto laggiù al mondo alla fine del mondo, come disse al momento della sua elezione. E anche i genitori di Francesco venivano dall’Italia, dalla Liguria e dal Piemonte e partirono dal porto di Genova, cercando un destino migliore e mai più immaginando che avrebbero dato alla Chiesa un papa, proprio dal mondo alla fine del mondo.
I legami sono tanti, affettivi e passionali, come quelli del calcio, dei campioni argentini che continuano a arrivare in Italia, da quelli antichi, a Maradona, a oggi, a Mateo Retegui del Genoa, che addirittura gioca nella nazionale italiana, in virtù dei suoi nonni nati nel Belpaese. Non certo il primo nato in Argentina a vestire la maglia azzurra.