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Benedetto XVI torna ad attaccare “la dittatura del relativismo”. “Il nostro tempo è simile a quello della rivoluzione francese”

di Emiliano Condò |5 Agosto 2009 15:46

«Il nostro tempo è simile», in tutto e per tutto, «a quello immediatamente successivo alla Rivoluzione francese». Benedetto XVI, nel corso dell’udienza generale tenuta nel cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo torna a parlare di uno dei suoi temi più cari, la minaccia relativista.

E il riferimento al 1789 serve al pontefice per costruire un parallelo impegnativo: «Se allora c’era la dittatura del razionalismo, all’epoca attuale si registra in molti ambienti una sorta di dittatura del relativismo». Tutte e due le dittature, però, per il papa «appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell’uomo di usare a pieno della propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità».

L’occasione per il discorso è stato il centocinquantesimo anniversario della morte di San Giovanni Maria Vianney, al quale Benedetto XVI ha voluto dedicare l’anno sacerdotale in corso. Vianney fu sacerdote proprio nella Francia del “terrore” post rivoluzionario.

Per Ratzinger, il sacerdote, lungi dall’essere una figura marginale, va ricordato per il suo saper operare e convertire «nella Francia post rivoluzionaria che sperimentava una sorta di dittatura del razionalismo volta a cancellare la presenza stessa dei sacerdoti e della chiesa nella società».

L’«eroico» Vianney, dopo un periodo di clandestinità divenne sacerdote e secondo Benedetto XVI «si contraddistinse per una singolare e feconda creatività pastorale, atta a mostrare che il razionalismo, allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici bisogni dell’uomo e quindi, in definitiva, non vivibile».

Il razionalismo, ha concluso il papa, «fu inadeguato perchè non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo, invece, mortifica la ragione, perchè di fatto arriva ad affermare che l’essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo».

Oggi come allora, però, per Ratzinger  l’uomo continua ad essere un «mendicante di significato e compimento» che «va alla continua ricerca di risposte esaustive alle domande di fondo che non cessa di porsi».

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