BERLUSCONI ATTACCA IL COLLE: ”UN GRAVE ERRORE”, NAPOLITANO, ”SILENZIO E RISPETTO”

Berlusconi_pensoso «Napolitano ha commesso un errore grave». E le parole pronunciate da Berlusconi alla notizia della morte di Eluana Englaro innescano immediatamente l'offensiva del Pdl contro il Colle, riecheggiano nei comunicati dei parlamentari del centrodestra, diventano un esplicito atto d'accusa verso il Quirinale con il capogruppo Gasparri: «In questa vicenda peseranno le firme messe e quelle non messe ». Quella che Napolitano ha rifiutato di apporre al decreto, e che a detta del premier ha «reso impossibile l'azione del governo per salvare una vita».

In quell'atto del capo dello Stato, il Cavaliere ha visto «tutta la cupezza di un armamentario culturale figlio di una stagione che non è ancora tramontata». Non usa il termine comunista, Berlusconi. O meglio, quel termine giurano che non l'abbia usato ieri sera. La morte della Englaro spezza l'afflato trasversale di quanti — anche nel Pd — erano pronti a votare il provvedimento voluto dal premier, e apparecchia il tavolo di una polemica politica che è già scontro istituzionale. Il ministro Scajola lo spiega con l'accortezza tipica di un diccì, ma lo spiega: «Mi auguro che la vicenda possa servire a fare una legge, e che la legge porti il nome di Eluana. Purtroppo il Parlamento è stato lento nel legiferare. Il governo ha tentato di rimediare, e sarebbe stata cosa buona se il decreto avesse avuto il corso che non ha avuto».

Dal canto suo Napolitano ha dichiarato: «Dinanzi all'epilogo di una lunga tragica vicenda, il silenzio che un naturale rispetto umano esige da tutti può lasciare spazio solo a un sentimento di profonda partecipazione al dolore dei familiari e di quanti sono stati vicini alla povera Eluana».

Dinnanzi al rischio di un'escalation della tensione tra Palazzo Chigi e il Colle, Scajola sottolinea come «i padri costituenti avessero chiarito senza alcun fraintendimento le prerogative del governo. Non ci può essere un diritto di veto sopra i provvedimenti dell'esecutivo. Spiace che il problema sia emerso su un tema così delicato e proprio ora che al Quirinale siede un presidente della Repubblica di grande equilibrio ». L'equilibrio su cui aveva retto la coabitazione tra Napolitano e Berlusconi è saltato. Il capo dello Stato aveva avvertito immediatamente l'accerchiamento, non a caso ieri pomeriggio ha invitato Casini al Colle per capire quale fosse la posizione del leader centrista, dopo che l'Udc si era schierato a favore del decreto. E ieri sera il presidente della Repubblica ha chiamato Fini, furibondo per le parole pronunciate da Gasparri. Quale fosse il suo pensiero, il presidente della Camera l'ha fatto sapere subito: «Gasparri è un irresponsabile». Si ripropongono così le posizioni di venerdì scorso, quando era scoppiato lo scontro istituzionale. È tutto da vedere se il Cavaliere, come temono nel Pd, miri al bersaglio grosso. È certo ormai il muro contro muro tra Quirinale e Palazzo Chigi, sta tutto nel ragionamento pronunciato dal premier in queste ore: «Davvero Napolitano dice che si metterà di traverso sulla riforma della giustizia? Ma non è solo lui che controfirma i provvedimenti del governo. Anche il governo controfirma gli atti del presidente della Repubblica. E se finora l'ho fatto senza nemmeno vedere di cosa si trattava, ora ci metterò più attenzione».

Prossimamente Napolitano sarà chiamato a nominare un giudice della Corte costituzionale. Così il «caso Englaro», con tutta la sua drammaticità, scolora e lascia spazio a uno scontro tra cariche dello Stato che ruota attorno a una questione politica di prima grandezza posta da Berlusconi: «In Italia chi comanda?». Nei suoi conversari, tempo addietro, affacciava l'interrogativo con la «storiella delle sedie»: «Quando c'è un evento pubblico, il cerimoniale stabilisce che la prima sedia spetti al capo dello Stato. Poi c'è la sedia per il presidente del Senato, poi c'è quella per il presidente della Camera, poi quella per il presidente della Consulta. Infine, se ne rimane ancora una, c'è anche quella per il presidente del Consiglio. Altrimenti si può sempre arrangiare con uno strapuntino».

La rupture berlusconiana potrebbe portare allo «scontro finale» con Napolitano, come sostiene Cossiga, oppure — come immaginano i più fedeli collaboratori del Cavaliere — a un «chiarimento» sulla linea di demarcazione dei rispettivi ruoli istituzionali. Di sicuro il premier ha colto l'occasione del «caso Englaro » per mettere la parola fine alla prassi avviata da Oscar Luigi Scalfaro ai tempi di Tangentopoli, quando — in quella fase emergenziale — l'allora capo dello Stato chiese e ottenne che ogni atto di governo fosse sottoposto al vaglio preliminare del Quirinale sulla base del principio della «co-decisione». Un principio che persino autorevoli esponenti del Pd considerano «estraneo» alla Costituzione, e che oggi il premier definisce «una prassi inaccettabile ». Il braccio di ferro è appena iniziato.

 

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