Bossi & Berlusconi. Federalismo a parole, ma in Italia si decide tutto al vertice

Un grave male che tormenta la politica italiana è il verticismo, cioè il fatto che le decisioni di un certo rilievo riguardanti la vita dei governi locali sono prese a Roma:  candidature o poltrone di sindaco di grandi città, presidenti di provincie e regioni non sono assegnate dalla gente che vive nel territorio, mediante lo strumento sovrano della democrazia che è il voto. Le scelte sono fatte a Roma.

Non sfugge a questa logica nemmeno l’inventore di Roma ladrona, Umberto Bossi, il quale tratta con Silvio Berlusconi le presidenze delle regioni Lombardia e Veneto, invece di chiederle agli elettori.

La logica è secolare, viene dall‘unità d‘Italia, cresce con il fascismo e prospera con l’Italia repubblicana, sempre più ricca, articolata e quindi traboccante di poltrone da assegnare. Chi viene dalla provincia ricorda con fastidio l’umiliazione provata quando per ogni cosa si sente dire: “Questo si decide a Roma”.

Tranquillo, Umberto, ci penso io
Tranquillo, Umberto, ci penso io

Non mi pare ci siano nel mondo occidentale e democratico modelli analoghi. In Russia, che non ne ha mai fatto parte, Putin decide anche il governatore della più remota provincia siberiana, ma il riferimento lì è la Russia zarista. In Cina le provincie pesano al punto che è anche ai tempi di Mao era Shanghai a determinare spesso posizioni di vertice a Pechino e non il contrario.

Si è parlato un po’ di partecipazione della società civile alla politica,  ma ora non è più di moda ed è meglio così. Si trattava di una formula abbastanza esoterica, funzionale a un trip che prese un po’ d’anni fa tanta gente anche colta e per bene, che voleva la fine dei partiti e della partitocrazia, come se i partiti fossero un corpo estraneo alla politica e la società civile fosse qualcosa di elitario e distinto rispetto al popolaccio.

Si parlava di “fare come in America” andando a orecchio e ignorando il giusto peso che là hanno i partiti. La partitocrazia non era mai piaciuta a chi aveva coniato la definizione, fascisti e comunisti nel dopoguerra italiano, perché ne erano esclusi. Ora i loro discendenti sono anche loro dentro il sistema, ma raccolgono i frutti di tanto disprezzo profuso in passato, che si è trasformato nel distacco e nel disamore della gente.

Se i partiti sono il condotto della volontà popolare nella politica, le fondamenta sono costituite dal radicamento nella gente. Il controllo della tv non basta. Ci vuole l’attività nel territorio, ci vuole la vicinanza ai sentimenti e agli interessi degli elettori.

Naturalmente esistono dei potenziali conflitti, perché una forte presenza nel territorio genera boss locali, non sempre disposti a obbedire ciecamente al volere di Roma, come è il caso di Formigoni in Lombardia e Bassolino e De Luca in Campania. Entrambi rappresentano una forza per il loro partito, entrambi sono strumento di più intensa partecipazione democratica.

Rappresentano, senza ipocrisie, cosa voglia dire fare politica con successo: le idee sono un elemento fondamentale, ma da sole, non portano distante, senza mezzi e finanziamenti adeguati, senza un controllo delle istituzioni locali

Un partito, scriveva lo storico inglese Ronald Syme a proposito di quello che portò Augusto all’impero, deve avere una organizzazione adeguata a servire gli interessi di una massa di persone e anche a soddisfare gli interessi più diretti dei suoi aderenti. In altre parole, non ci può essere un’attività politica all’insegna del più puro e assoluto disinteresse individuale, ma un partito non sta in piedi se non è portatore di interessi generali e diffusi.

Viene da pensare a tutto questo mentre il partito della sinistra si sta logorando in manovre precongressuali molto di vertice, che fanno perdere di vista quel che succede in Italia e nel Palazzo, mentre il Palazzo è scosso da fermenti che non riguardano la gestione del paese, ma cose di ben più basso livello.

Così, mentre i giornali sono pieni di storie di puttane e preti, e di lotte di potere a una distanza siderale dalla gente comune, l’attività di governo procede indisturbata, nella distrazione e nel disinteresse generali.

Il manovratore procede indisturbato e senza controllo e gli piace tanto che vuole applicare il metodo collaudato in Abruzzo (nessun vincolo, nessun controllo), a tutte le grandi opere in programma.

Intanto il distacco della gente aumenta, perché i problemi con i quali si misura ogni giorno sono ben più dolorosamente semplici: pagare il mutuo, arrivare alla fine del mese, conservare il posto di lavoro.

Basta essere consapevoli dell’una e dell’altra cosa.

I commenti sono chiusi.

Gestione cookie