La brava gente che lavora, sempre vittima e tartassata, eroicamente resiste, resiste, resiste. E dà prova della sua creatività e tenacia inventiva. Prendete quel bravo cittadino che lavora a Roma, attività ristoratore. Come tutti i ristoratori della Nazione (nella capitale un un po’ di più) è stato autorizzato, anzi invitato a farsi un dehors, cioè un esterno, uno spazio esterno al suo locale dove servire clienti. Misura d’emergenza e provvisoria perché, pandemia e dintorni, con tavoli e sedie all’esterno minor contagio e almeno un po’ di clientela e incassi. Come tutti i ristoratori della Nazione (nella capitale un po’ di più) il provvisorio è diventato non solo senza data e scadenza, è diventato proprietà indiscussa e indiscutibile quel dehors, quello spazio che prima era pubblico. Adesso è “roba” dei ristoratori. D’altra parte non hanno fatto così anche i balneari? Usi e costumi e legislazione di fatto in Italia proteggono le occupazione di “roba” pubblica da parte di privati organizzati.
All’altro capo del pianeta sociale, agli antipodi succede anche per le case popolari occupate da chi non ne ha diritto. Una volta “prese”, il diritto segue, come le salmerie. Ma torniamo al bravo cittadino che lavora da ristoratore a Roma in quella via del centro che più o meno vien giù da Porta Pinciana e punta verso Piazza di Spagna. Sul “suo” dehors, visto che è suo, ha applicato il suo gusto e la sua idea di bello e accattivante. Sul “suo” dehors ha appiccicato un giardino pensile tutto di plastica. Fiori e frutta plasticati, tetto e rami a grondare.
Non proprio i giardini pensili di babilonia e neanche le azalee di Piazza di Spagna. Anzi una roba che anche nel peggior bar di Caracas o Denver o Giacarta o Lagos verrebbe vista come un po’ troppo…un po’ troppo tutto. Ma il “dehors” è suo e, secondo uso, costume, legge e regolamento ci può fare quel che gli pare. Tutto è in regola. O meglio non c’è regola che faccia ostacolo alla regola prima che vige nella Capitale (stavolta con la maiuscola) e cioè ognuno fa come gli pare. Con la suprema esimente e motivazione dell’essere appunto gente che lavora, brava gente che lavora.
E non ha tempo
Di tempo ne dovevano avere, strutturalmente e culturalmente, poco assai le decine di cittadini (vuoi scommettere brava gente che lavora? ) che al profilarsi di una ritardante fila sull’Autostrada dei Fiori hanno avuto il corale istinto di imboccare, a decine, la rampa di uscita contro mano. Non una di auto contro mano, una ordinata fila di auto contro mano. Come da istinto e cultura. Sono, prese dal mazzo, manifestazioni di creatività piccole ma esemplari. Sono esempi di inventività e vitalità, piccoli ma dotati di una loro, per così dire, essenzialità. Di una loro capacità di illustrare il manifestarsi di una forza indomita che presiede ad assiomatica verità: nulla ferma la brava gente che lavora. Anzi, meglio: la brava gente che lavora non si ferma davanti a nulla.