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Carceri/ L’ira del sindacato di polizia penitenziaria sul ministro Alfano: “Ma delle patrie galere quando se ne occupa?”

di Emiliano Condò |6 Agosto 2009 17:09

Il risarcimento? La Corte di Strasburgo dovrebbe chiederlo «ad un ministro della Giustizia praticamente assente, che ieri non è neppure  intervenuto nella questione penitenziaria». È durissimo il giudizio di Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione Sindacale Autonoma di Polizia Penitenziaria, sul Guardasigilli Angelino Alfano.

Beneduci, sul sito dell’Osapp,  è ritornato sulle polemiche scoppiate in seguito alla condanna a risarcire con 1000 euro un detenuto bosniaco subita dal nostro Paese.  Con un attacco frontale ad Alfano, reo, secondo il sindacalista, di trascurare la questione carceri: «Ma il ministro, che già da diverse settimane ha ammesso che le carceri italiane e le condizioni in cui sono costretti i detenuti sono al di fuori della legge e della Costituzione, delle patrie galere quand’è che se ne occupa?».

Allo stesso modo, Beneduci, critica la scarsa attenzione al tema di una riforma del codice penale «che tenga presente l’evoluzione della società e l’esigenza che il carcere sia destinato ai reati di maggiore allarme o pericolosità».

In un’intervista a Il Messaggero, Beneduci offre uno spaccato drammatico della condizione degli istituti di pena nel nostro Paese: «Siamo al limite del collasso, i nostri organici sono fermi dal 1992 quando le presenze nelle carceri non superavano i 35 mila detenuti. Alla fine dell’anno se non interverranno dei correttivi saranno esattamente il doppio. Inoltre, l’estate non è amica di chi sta in carcere, dentro l’aria condizionata non c’è, anche in queste condizioni di sovraffollamento è proprio l’aria che manca».

Così, conclude il sindacalista, «viene meno l’obiettivo più importante della detenzione, ovvero il recupero dei detenuti. Tutti i detenuti prima o poi escono dal carcere, anche i detenuti più sanguinari, ma se quando escono sono peggiori di prima, non ci sono ronde che possano garantire sicurezza sociale».

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