L’attentato di lunedì mattina nel quale è rimasto gravemente ferito il presidente della Repubblica islamica dell’Inguscezia, Yunus-Bek Yevkurov, non è che l’ultimo di una serie di attacchi che hanno insanguinato nelle ultime settimane il territorio a Nord del Caucaso. Regione da anni protagonista di violenze, povertà e corruzione.
Un ennesimo episodio che dimostra come lo sforzo del Cremlino di contenere i militanti islamici e la violenza delle bande di guerriglieri sia a tutt’oggi inadeguato.
Il governo russo è in allerta. Il presidente Dmitry Medvedev ha condannato l’attentato parlando di un “atto terroristico” compiuto da “banditi”.
La solita retorica russa, è il caso di dire. Che però non trova riscontro nei fatti. Soltanto il 5 giugno a seguito di un attentato contro il capo della polizia della Repubblica del Dagestan, sempre nel Caucaso, il presidente russo si era recato per una visita a sorpresa nel Paese dichiarando, come del resto ha sempre fatto il suo predecessore Vladimir Putin, con assoluta sicurezza che i “banditi responsabili sarebbero stati battuti”.