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Cocaina a Villa Zito, Palermo Ipocricity, città decaduta da cui i giovani fuggono cercando opportunità non favori

Cocaina a Villa Zito a Palermo, il girone di sputtanamento di una città provinciale.

In uno dei suoi templi laici, trigonometrici, dove tutti officiavano il rito dell’esserci, tra aperitivi, crocchette di patate tartufate. E in mezzo la cocaina.

Noi palermitani siamo poveri ma abbiamo il senso di un’allure perduta, tra genetliaci di consacrazione e comunioni di figli e nipotine, riassume la summa di questa città ex capitale.

Capitale di fasti scomparsi e di ipocrisie imperanti. Un semplice cuoco, maitre a penser, o maitre a pansè, di una città che si riflette su se stessa, diventa a Palermo lo specchio di Dorian Gray di una città invecchiata male, malissimo. Con figli che fuggono, emigrano come gli africani, cercando un mondo diverso.

Un mondo in cui ci siano opportunità e non favori, lavori e non servizi al potere di turno, effimero che si sente immanente. È una città delabrè e decaduta ogni oltre limite Palermo, pur essendo la quinta città d’Italia, capitale dell’Europa liberata dagli americani nel 1943 e lì rimasta, tra famiglie importanti che hanno fatto e fanno la storia d’Italia.

Una città simbolo di mondi complessi, di ricatti da gelatai, e di fondazioni di imperi. Una città di colletti bianco sporco, senza una qualità fondamentale. La verità. A Palermo, e Falcone lo ha capito più di tutti, la verità non esiste, non serve, non è utile a viverci. C’è un cappio, per un capro espiatorio di turno, e tutto è apposto.

La vita pigra e indolente di questa Ipocricity continua. Domani è un altro giorno, speriamo non di scirocco.

 

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