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Colombo era genovese quindi italiano e non spagnolo: ebreo o friulano non fa differenza, Italia nazione non razza

Cristoforo Colombo era genovese quindi italiano e non spagnolo. Probabilmente era ebreo ma non è il sangue che definisce la tua identità, è dove sei nato e cresciuto. Ecco perché io sono per lo ius soli e contro lo ius scholae.

La conferma viene in questi giorni dall’altro capo del mondo. I coreani nati e cresciuti in America quando tornano in Corea vengono guardati con sospetto: li considerano americani, non più coreani. Lo stesso vale per i nostri emigranti quando visitano il paese avito. È la contraddizione che sta all’origine di Ma Se Ghe Penso.

Accade a me quando vado a Genova, che lasciai nel 1972. Quella cadenza tanto araba (con qualche infiltrazione torinese dopo 10 anni di permanenza) e quella parolaccia che è l’unica cosa che mi accomuna a Beppe Grillo sono sempre sulle mie labbra. Ma quando vado là mi prendono per romano.

Il testamento di Colombo

La casa di Colombo a Genova

Colombo era genovese quindi italiano e non spagnolo: ebreo o friulano non fa differenza, Italia è nazione non razza – Blitzquotidiano.it (foto C-way)

Nel caso di Colombo vale il suo testamento, come ricorda Francesco Russo della agenzia di stampa Agi:

“Nel testamento dell’uomo che scopri l’America, redatto in lingua spagnola il 22 febbraio 1498 nell’attuale Panama, si legge un inequivocabile siendo yo nacido in Genova, ovvero essendo io nato a Genova”.

Colombo era ebreo, genovese e italiano come io sono genovese piemontese romagnolo e italiano, come uno può essere siciliano e italiano o veneto e italiano.

Era ebreo come uno può essere cattolico, valdese, anglicano e italiano. Anni fa feci da padrino a una bambina anglicana in una chiesa del centro di Londra. In sacrestia trovai l’immagine del cattolicissimo Bambino di Praga e la foto di Papa Ratzinger. Pensai che per molto meno ai tempi di Thomas More ti avrebbero bruciato vivo. Ora i preti anglicani e cattolici si alternano sull’altare fatto costruire da Enrico VIII.

Eppure gli spagnoli insistono, che un italiano abbia loro aperto l’impero più grande che mai, peraltro poi da loro stessi dissipato, questo non gli va giù.

Loro sono ancora in ginocchio davanti ai discendenti del Re Sole che siedono sul trono di Spagna e si commuovono davanti a una ragazza di 19 anni in alta uniforme futura regina.

Ma che Cristoforo Colombo fosse genovese no, poi no: i genovesi partivano per spedizioni punitive contro Barcellona già attorno al mille. Poi l’Italia fu loro colonia: Milano, Napoli. E il grande ammiraglio genovese Andrea Doria fu un loro servitore contro il Barbarossa di Solimano.

Ricordo il fastidio dei capi spagnoli della Seat automobili quando ricevevano l’ispezione di Ghidella e Mattioli al tempo in cui, appena morto Franco, Fiat era ancora azionista. A Torino si mangiavano cotolette, a Madrid aragosta.

Ebreo, genovese, italiano

Colombo, ho scritto su Cronaca Oggi, fu ebreo, genovese e italiano anche se fu uno dei tanti cervelli in fuga, da Leonardo a Montecuccoli.

Ma agli spagnoli gli rode, e ora vogliono appropriarsi delle origini dell’ebreo Colombo, proprio loro che perseguitarono gli ebrei anche anzi ancor più dopo la conversione al cristianesimo per portar via loro i beni, come sosteneva il padre di Netanyahu.

E poi, perché? Uno non può essere ebreo e genovese? A Genova ancor oggi numerose famiglie di discendenza ebraica-spagnola, Colombo è un cognome ebreo, e allora? Uno è veneto e italiano, uno è calabrese e italiano, uno è genovese e anche ebreo o mezzo piemontese e anche italiano.

Non è il sangue che ti fa italiano, siamo un tale miscuglio di razze incrociate nei secoli, ne sono state contate 400.

Ho fatto il test del mio DNA, da non crederci: mi attribuisce una piccola quota di sangue nord africano. Un mio amico a Lisbona ha scoperto di possedere un 4 per cento di eredità Neanderthal, proprio come sostiene Svante Paabo.

Cosa hanno in comune un siciliano e un napoletano, un calabrese e un friulano?

Quel che ti fa italiano è la tua appartenenza culturale e linguistica, se ci sei nato lo sei, non se frequenti i corsi delle  coop inventati dal ridicolo ius scholae di Schlein e Tajani.

Colombo nome di ebrei italiani

Colombo è un nome di italiani di origine ebraica, al punto che il cattolicissimo Furio Colombo poté dire davanti a me a New York “I am Jewish”.

Gli ebrei sono stati sempre, pur fra alti e bassi, e a parte la parentesi della Repubblica di Salò, ben integrati a Genova.

Anzi si può pensare che, con i Fenici, siano stati tra i fondatori della città.

Uno dei più importanti studiosi della geologia e della antichità ligure fu Arturo Issel, un amato pittore e scenografo fu Emanuele Luzzato, a Genova è nato il bravissimo storico Sergio Luzzati.

Sono cresciuto passando con ammirazione davanti alla vetrina dell’antiquario e pittore Alberto Issel.

Più intimamente, mio cugino si chiama Gandus. E ogni giorno piango, senza riuscire a consolarmi, la morte di Gughi Valobra, ultimo di una famiglia industriale nota per un sapone fra i migliori, amico dalla prima elementare a quando la leucemia se lo è portato.

Il nome di suo cugino, Guglielmo Valobra, è inciso sopra l’ingresso del cimitero ebraico a Staglieno: un intero nucleo familiare finito a Buchenwald. La nonna, dopo la guerra, negli anni ‘50, rifiutando la tragedia, tutte le sere aspettava che uscissero dall’ascensore, quello cantato da Caproni e immortalato nelle incisioni di Luzzatto, che li avrebbe portati dall’ufficio nel grattacielo di piazza Dante in Castelletto.

L’Italia  non è una espressione geografica

L’Italia non è una espressione geografica, è una nazione che ci unisce tutti dal Brennero a Capo Lilibeo e ha radici profonde 8 mila anni. Quella gente arrivò fino in Sicilia, si sparse per tutta la penisola, determinò il sostrato originario della nostra lingua.

Poi arrivarono greci e etruschi, celti e latini, le parole si scambiarono e integrarono, proprio come oggi, ma la struttura della lingua, nella sua evoluzione, rimase quella che Henry d’Arbois de Jubainville identificò con i liguri.

La nostra lingua, sono convinto, non deriva dal latino ma da quell’antichissimo parlare.

Gli studiosi, prigionieri del mito e della retorica di Roma, ci hanno costruito teorie e carriere. Ma non trovate riscontro in Dante, che scrisse un capolavoro come la Commedia in un italiano glorioso quando ancora in parallelo governi e notai usavano il latino.

Perché il volgare arrivasse alla perfezione di Dante ci volevano radici ben più profonde che non i pochi secoli riconosciuti dai luoghi comuni.

Lo stesso Dante non dice che l’italiano deriva dal latino. Si limita a dire che il suo dialetto è il migliore di tutti. E lo fa anche con argomenti risibili come quello che critica la pronuncia della z dei genovesi.

Per me l’elemento chiave che conferma il parallelismo fra le due lingue e non la discendenza di una dall’altra risiede nella sintassi che è poi l’architettura su cui moduli le tue frasi: ragionamenti e non parole sconnesse.

Chi ha studiato un po’ di latino converrà sulla differenza. Italiano (e dialetti), francese, spagnolo e portoghese modulano le frasi secondo lo schema soggetto verbo complemento oggetto. Nel latino, come nel russo, il soggetto arriva in fondo alla frase. Ho sempre trovato più facile tradurre dal greco, con i suoi geroglifici e parole ignote, che non dal latino proprio per la differente struttura della frase.

I primi abitanti dell’Italia erano poche migliaia ma poche centinaia erano i popoli invasori. Enea e i suoi uomini stavano in una barca, forse due, di 12 metri.

Etruschi, celti, veneti, latini, sabini, bruzi, greci, arabi, normanni, longobardi arrivarono tutti con il loro idioma, arricchirono con le loro parole la lingua dei vinti.

Gli scambi di parole furono intensi ieri come oggi. Due esempi. Quante volte al giorno diciamo okei mentre indossiamo i jeans o i leggings?  E che dire di gabibbo, reso famoso da Striscia la notizia, che a Genova è epiteto per i meridionali? Passo il confine fra Siria e Libano e è un tripudio di habib habib: vuol dire amico e quelli si scambiavano affettuose manate chiamandosi habib.

Ma alla fine, la lingua dei vinti prevalse su quella dei vincitori. Così è e è stato quasi sempre nel mondo.

L’Italia si spezzò in varie entità regionali e locali. La giusta dimensione è la provincia, sono i diecimila campanili quanti furono gli  insediamenti tribali.

Le regioni furono un artificio,  un anticipo del compromesso storico. I padri della Repubblica le inserirono nella Costituzione ma ci credevano tanto poco che le attuarono dopo un quarto di secolo.

Indietro nel tempo, Augusto diede unità amministrativa all’Italia. Ci pensarono goti e arabi a spezzarla.

Poi arrivarono i longobardi che si sparsero per gran parte della penisola diventando nei secoli futuri, con qualche eccezione come i bizantini a Napoli, la classe dominante della nuova Italia.

Di origine longobarda furono le grandi famiglie del Nord come Visconti o gli Este. Longobardi furono Guinizelli e anche Dante Alighieri.

Ma la lingua era per tutti, o almeno per le classi alte prima della tv, quella italiana. la prima poesia in italiano nasce in Sicilia e poi Bologna, Firenze, Genova.

L’Italia è stata da sempre una unità ideale, culturale, linguistica.

Non così fu per la politica perché il Papa Adriano I chiamò Carlo Magno in soccorso contro il re longobardo Desiderio. Per 800 anni l’Italia dovette accantonare il sogno di uno Stato unitario, col conseguente declino mentre francesi, spagnoli e inglesi crescevano nel mondo.

 

 

 

 

 

 

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