Con “Fa’ la cosa sbagliata” tornano di moda gli anni ’90, tra droga e psicanalisi

New York, estate del 1994, trionfa l’hip hop e la politica zero tolerance voluta dal sindaco Rudy Giuliani. E ovunque campeggiano graffiti con l’immagine di Kurt Cobain, il profeta del grunge ed icona immortale degli anni ’90 scomparso a soli 27 anni. È qui che si svolge Fa’ la cosa sbagliata. Film indipendente diretto da Jonathan Levine, con un cast in cui svetta un grande Ben Kingsley. Vero mattatore della storia nel suo ruolo di psichiatra tossicodipendente, avido di sesso e di affetto, il cui migliore amico è un ragazzino. Suo paziente, e suo pusher.

Il tutto in una commedia drammatica – vincitrice del premio del pubblico al Sundance Festival – onirica, psichedelica ma sotto sotto sentimentale. Nel descrivere le dinamiche che scattano tra il gruppetto di personaggi protagonisti. A cominciare, appunto, dal dottor Squires (Ben Kingsley), sposato infelicemente con la bella Famke Janssen (la Jane Grey della saga X-Men), e affezionatissimo alla figliastra Stephanie (l’astro nascente Olivia Thirlby). Gran consumatore di pillole di ogni genere, il nostro eroe si rifornisce di cannabis da un ragazzino spacciatore timido e impacciato, Luke (Josh Peck), che ripaga con sedute di terapia.

Entrambi un po’ fuori di testa, dottore e paziente decidono che la formula magica per superare i problemi è per entrambi una bella dose di sesso. E se Squires sembra accontentarsi di un rapporto mordi e fuggi con una ragazzina sballata (Mary-Kate Olsen), Luke si innamora della bella e disinibita Stephanie. Così, malgrado i consigli del patrigno, decide di provarci con lei… e chissà se, al termine della torrida estate in cui è ambientata la storia – tra sesso, psicanalisi, massime esistenziali e quantità industriali di droghe più o meno leggere – i due protagonisti maschili riusciranno a trovare la loro strada.

Un’operazione nostalgia fatta per chi era ragazzino allora, orfano precoce del giunge, ma che strizza l’occhio – attraverso il personaggio di Kingsley, affetto da sindrome di Peter Pan – anche ai cinquanta-sessantenni. Quelli che erano o che avrebbero voluto essere a Woodstock, insomma: esattamente quarant’anni fa.

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