CRISI FINANZIARIA: ”LE CURE POTREBBERO NON BASTARE”

Il Corriere della Sera pubblica un intervista di Renzo Cianfanelli all’economista dell’Universita’ del Maryland Peter Morici sulla crisi finanziaria in atto. La riportiamo di seguito:

”Peter Morici, cravattino a farfalla, origini italiane e battuta tagliente, è professore di economia alla Robert H. Smith School of Business dell’università del Maryland, ma in queste giornate di turbolenza e incertezza la sua faccia si vede in continuazione sui telegiornali di mezzo mondo.Nei giorni passati, mentre le banche d”investimento di Wall Street, una dopo l’altra, venivano spazzate via dalla crisi, in una trasmissione di prima mattina della National Public Radio, l’economista ha fatto andare la colazione di traverso a quelli che Tom Wolfe, in quel romanzo famoso degli anni Ottanta intitolato Il falò delle vanità, chiamava sarcasticamente «i padroni dell’universo». «Hanno accumulato montagne di soldi usando la tecnica dei giocatori d’azzardo con i risparmi degli altri», ha detto, «ma ora la festa è finita. D’ora in avanti, questi banchieri che facevano confusione fra il loro mestiere e quello dei biscazzieri, si dovranno adattare a vivere con stipendi da bancari normali. E, se non sono d’accordo si potranno sempre riciclare come chef di qualche pasticceria».

Professor Morici, dall’America il pasticcio ora si estende all’Europa. Basterà a rassicurare i mercati la garanzia dei depositi al 100 per cento che la cancelliera Angela Merkel ha prospettato per le banche tedesche?
«La risposta sintetica è: no. La crisi a questo punto non è più solo un problema degli Stati Uniti, ma un problema globale. Il che non significa che gli americani non siano colpevoli di tutto questo, appunto, grande pasticcio. La responsabilità è nostra, e ora in qualche maniera ci consoliamo pensando che, se questo è innegabile, è anche vero che il resto del mondo più sviluppato ci è venuto dietro per sua libera scelta. Quanto alla garanzia dei depositi, mi sembra evidente che, se la Germania si muove su questa strada, anche gli altri Paesi principali dell’Unione europea dovranno fare altrettanto. Perché in caso contrario, all’interno dell’Ue, si verificherebbero massicci spostamenti di capitali dalle banche europee rimaste prive di garanzia, alle banche tedesche».

Lei allora in buona sostanza assolve i banchieri europei?
«No. È evidente che in questo stato di cose anche le banche europee hanno le loro parte di responsabilità. Ma i banchieri, alla fin fine, ragionano da banchieri. Cercano gli investimenti che promettono il rendimento più alto e gli azionisti, come contropartita, consegnano certificati di debito. Così se noi tutti contribuenti, vale a dire lo Stato, garantiamo il pagamento di questi certificati, anche quando le banche hanno fatto operazioni sbagliate, il risultato è che i banchieri, per quanto colpevoli, non pagheranno di tasca propria per gli errori commessi».

Parliamo di UniCredit. La banca italiana, pur ribadendo di non avere il minimo dubbio sulla propria solidità, per rispondere alle speculazioni al ribasso dei giorni passati si è trovata costretta a deliberare, nel cda straordinario di questa domenica, un piano di consolidamento da oltre 5 miliardi di euro. Basterà questo intervento a rassicurare i mercati?
«Non credo. E la ragione è che le banche degli altri Paesi non mi sembrano intenzionate a fare altrettanto. Secondo me, la sola azione capace di stabilizzare i mercati – o almeno che potrebbe stabilizzarli – è un piano ben coordinato almeno delle quattro più importanti banche centrali europee, che dovrebbero intervenire tutte simultaneamente e con lo stesso obiettivo».

In Europa, la prima a muoversi unilateralmente con la decisione di garantire tutti i depositi bancari è stata l’Irlanda, suscitando le proteste della Gran Bretagna, che per prevenire una fuga di capitali verso le banche irlandesi teme di dover fare altrettanto. Se ora la ben più importante Germania si muove sulla stessa strada, lei prevede che questa tendenza sia destinata a diffondersi?
«È presto per dirlo, ma è chiaro che più si diffonde il fenomeno e più gli altri Paesi troveranno difficile resistervi».

Che cosa significa questo in concreto: giorni o settimane?
«Credo che, per un intervento coordinato in Europa, lo spazio sia ormai di pochi giorni soltanto».

Negli Stati Uniti il Congresso ha approvato il piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari. L’opinione pubblica americana è rassicurata?
«No, al contrario è disorientata e insospettita perché il sistema creditizio rimane bloccato. Inoltre molti sono convinti che i soli a non pagare le conseguenze della crisi saranno i finanzieri e i banchieri, che grazie al voto del Parlamento sono riusciti a rovesciare sulle spalle del contribuente il problema delle loro speculazioni fallite. Il governo in definitiva non può illudersi di risolvere la crisi dando in pasto alle banche centinaia di miliardi di dollari. Deve avere la forza di mettere il piede dentro la porta delle banche che salva, il che non vuol dire fissare d’imperio i parametri di gestione, ma cambiare radicalmente la struttura degli incentivi pagando al personale stipendi adeguati invece di lasciarli liberi di pagarsi da soli con le commissioni di affari. Se il governo non riesce a ripulire Wall Street da cima a fondo, prevedo che questo costosissimo salvataggio finirà in lagrime. Proviamo per un momento a immaginare che cosa succederebbe, poniamo, in Germania se la Bmw pagasse ai suoi dipendenti stipendi di 300 dollari l’ora e poi, quando i conti non tornano, andasse a elemosinare soldi dal governo tedesco. Ora, in America molta gente non vede perché il governo deve intervenire con iniezioni di denaro pubblico per salvare dal fallimento banche dove il personale, per fare affari sballati, si fa pagare tranquillamente compensi di 5 mila dollari l’ora. È venuto il momento di dire basta alla generazione degli affaristi d’assalto»”.

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