CRISI: LA STRADA IN SALITA DI OBAMA

Il Corriere della Sera pubblica un editoriale di Massimo Gaggi sulle prime settimane di presidenza di Obama intitolato ''Le fatiche di Obama''. Lo riportiamo di seguito:

''Il governo Obama continua a perdere pezzi e con la rinuncia del repubblicano Gregg a ricoprire la carica di ministro del Commercio, la strategia bipartisan del presidente, già entrata in crisi durante la discussione parlamentare delle misure d'emergenza per l'economia, rischia un'affrettata sepoltura.

Questi dovevano essere giorni trionfali per Obama: più che un nuovo New Deal, i primi interventi del suo governo dovevano avere la sostanza di un «piano Marshall», stavolta destinato a risollevare non l'Europa, ma un'America reduce da distruzioni di ricchezze superiori a quelle prodotte dalle due guerre mondiali del Novecento. Al tempo stesso queste leggi dovevano anche contenere il nuovo «progetto Apollo »: il lancio dell'economia delle energie alternative e delle reti infrastrutturali.

L'uomo nuovo, senza responsabilità per gli errori del passato, che prende per mano con paterna indulgenza la vecchia politica, supera le contrapposizioni di schieramento, lenisce con una serie di interventi assistenziali la rabbia dei cittadini per una crisi che li impoverisce e usa il suo massiccio programma di investimenti non solo per rilanciare l'economia, ma anche per trasformare la società americana: meno consumi privati, famiglie meno indebitate, più spesa per servizi e sistemi capaci di migliorare la qualità della vita e di disegnare un futuro sostenibile.

Un piano audace. Quello che il superconsigliere economico di Obama, Larry Summers, chiama «dottrina Rahm», da una sibillina frase del capo di gabinetto del presidente, Rahm Emanuel: «Una crisi grave non va mai sprecata ». Traduzione: un momento difficile come questo ti consente di fare riforme radicali che in tempi normali non passerebbero.

Ma a poco più di tre settimane dal suo insediamento, il disegno del leader democratico segna il passo: il Congresso trasforma proprio in queste ore in legge il pacchetto degli stimoli fiscali, ma gli interventi approvati sono molto diversi da quelli proposti dalla Casa Bianca. Più che a rilanciare l'economia (il sostegno alle infrastrutture c'è ma non è imponente), serviranno a evitare massicci tagli di personale nel settore pubblico. Lo conferma implicitamente lo stesso Obama che, dopo aver promesso per settimane di «creare» tre milioni di nuovi posti di lavoro, ora è passato all' espressione «creare o salvare »: il piano, infatti, contiene grossi trasferimenti di fondi agli enti locali, grazie ai quali Stati e città, ormai con le casse vuote, non dovranno più licenziare centinaia di migliaia di poliziotti, pompieri e insegnanti.

Avendo concesso loro tre ministri e grossi tagli fiscali «alla Bush», Obama non si aspettava di essere contrastato con tanta durezza dai repubblicani. Che in questa fase sembrano impegnati a ricostruire la loro immagine elettorale, più che a cercare soluzioni ragionevoli e condivise.

Le difficoltà di Obama non sorprendono: non si vedono vie d'uscita da questa crisi gravissima, ogni misura varata aumenta i debiti già caricati sulle spalle delle generazioni future e nessuno sa ancora bene come disinnescare la crisi bancaria senza provocare la rivolta dei contribuenti.

E’, poi, comprensibile un certo risentimento del presidente nei confronti dei repubblicani che gli ripropongono le ricette fallite di Bush.

Ma oggi il leader democratico paga anche l'estrema audacia delle sue promesse elettorali e una certa improvvisazione nella formazione del governo: Richardson e Daschle, chiamati dal presidente al governo, sono inciampati nell'asticella dell'etica che era stata alzata proprio da Obama. E, nel caso di Gregg, la coerenza bipartisan della scelta del presidente ha subito un duro colpo quando la Casa Bianca ha «avocato» a sé la supervisione del censimento 2010 dopo le proteste delle minoranze nere e ispaniche, contrarie a che un atto politicamente così significativo (sulla sua base verranno ridisegnati i collegi elettorali) fosse gestito da un ministro repubblicano. Nessuno, comunque, può gioire delle difficoltà di Obama: le sue doti di persuasore, la sua capacità di incidere sulla maggiore economia del Pianeta sono tra le poche carte rimaste a disposizione per bloccare l'avvitamento della recessione globale''.

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