CRISI: L’IMPOTENZA DI TUTTE LE AUTORITA’ MONDIALI

La Repubblica pubblica un commento di Federico Rampini sulla crisi in atto intitolato ”La spirale delle tre crisi”. Lo riportiamo di seguito:

”Il panico globale e la massiccia distruzione di ricchezza sono amplificati dallo spettacolo di impotenza di tutte le autorità mondiali, governi e banche centrali. Questa crisi assume dimensioni che nessuno riesce più a padroneggiare. Ci sono troppi incendi da spegnere contemporaneamente e in troppi luoghi diversi. Gli strumenti tradizionali della politica economica e monetaria sono sopraffatti e superati.

I tempi della politica appaiono preistorici rispetto al fulmineo dilagare degli eventi. In Europa il lunedì nero delle Borse è stato anche un’umiliante bocciatura del "vertice della retorica": quel G4 convocato da Sarkozy, riempito di roboanti dichiarazioni, e concluso il quale ciascuno dei partecipanti appena tornato a casa ha preso decisioni per conto suo. Nella confusione totale. L’ulteriore indebolimento dell’euro rispetto al dollaro – un vero paradosso per una crisi nata negli Stati Uniti – ha suggellato l’esito di un weekend disastroso per il Vecchio continente. Ma i mercati hanno di fatto bocciato anche il piano Paulson – i 700 miliardi di dollari per acquistare titoli-spazzatura dalle banche – visto che dopo la sua approvazione al Congresso in due sedute Wall Street ha bruciato perdite superiori a quelle dell’11 settembre. Crollano anche le Borse dei paesi emergenti, con Russia e Brasile costrette addirittura a sospendere le transazioni per eccesso di ribassi e mancanza di compratori. Non c’è riparo, non c’è oasi, neppure le nuove potenze dell’economia globale ci lanciano una ciambella di salvataggio.

Sono almeno tre le crisi che si sovrappongono, alimentandosi a vicenda in una spirale che si avvita su se stessa. La prima in ordine di importanza assoluta è la crisi del credito: non è solo crisi di fiducia dei depositanti e degli azionisti verso le banche, ma collasso nella fiducia tra le banche stesse. La seconda crisi – che acquisterà maggior peso nei prossimi mesi – è una recessione dell’economia reale destinata a stremare l’Occidente intero per un periodo non breve. La terza è quella che fa più notizia, cioè il tracollo delle Borse. Su quest’ultimo fronte purtroppo perfino chi non ha investito i propri risparmi in azioni è esposto ai danni: perché le Borse influenzano l’economia reale attraverso la propagazione della paura che deprime i consumi; il tracollo dell’indice Dow Jones da cui dipendono le pensioni degli americani inasprisce una recessione che colpisce anche le esportazioni italiane.

Nell’occhio del ciclone l’Unione europea ha fallito ogni test di leadership. Prese singolarmente, una per una, certe misure varate nel Vecchio continente non sono sbagliate. L’annuncio di Angela Merkel che la Repubblica federale tedesca assicura tutti i depositi ha quantomeno evitato che i correntisti si precipitassero a svuotare le banche per mettere le banconote in casa: uno scenario non impossibile visto che qualche "assalto alla banca" ci fu già agli inizi di questa crisi (Northern Rock in Inghilterra). Tuttavia è sconcertante che questa stessa misura non sia stata affatto coordinata a livello europeo: anzi, sull’assicurazione statale dei depositi (varata per prima da Irlanda e Grecia, poi dopo la Germania anche da Svezia Austria e Danimarca) è scoppiata una rissa tra governi con accuse di concorrenza sleale, sciacallaggio e altre gentilezze. La casa brucia e alcuni presunti pompieri europei non trovano di meglio da fare che scambiarsi sonori ceffoni in pubblico.

Il penoso spettacolo europeo tuttavia non riscatta il decisionismo americano. Certo, Washington ha reagito più in fretta. Ma le sue reazioni sono spettacolarmente inefficaci. Se non basta neppure offrire 700 miliardi di dollari – il 5% del Pil americano – per risanare i bilanci delle banche e restituire fiducia al sistema, che cosa mai si può fare? La risposta a questo interrogativo non esiste, almeno per adesso, ed è proprio contemplando l’abisso che ieri Wall Street è stata presa dal terrore. La verità è questa: se fallisce il piano Paulson non esiste un piano B. Quel maxisalvataggio è stato presentato come l’extrema ratio, l’ultima carta. Con una sospensione della democrazia, il Congresso di Washington sotto ricatto ha dovuto rimangiarsi la sua bocciatura, ha votato un regalo al sistema bancario che la maggioranza degli elettori disapprova. E adesso scopre di aver dissanguato il bilancio federale per nulla?

Le stesse autorità monetarie sono allo sbando. Ieri sembrava imminente un intervento congiunto di tutte le maggiori banche centrali del mondo – guidate dalla Federal Reserve e dalla Bce – per un taglio coordinato dei tassi. Ma a che serve ridurre il costo del denaro in una fase in cui le banche se lo tengono stretto, accaparrano la poca liquidità che hanno e non la fanno rifluire nell’economia? La Federal Reserve da ieri ha iniziato addirittura a pagare degli interessi sulle riserve obbligatorie che le banche americane le affidano: è una mossa eccezionale, praticamente equivale a regalare denaro alle banche. Ma quelle non lo usano, tale è la morsa paralizzante dell’incertezza.

Che cosa resta da fare? Nazionalizzare il settore creditizio perché sia lo Stato a sostituirsi ai banchieri? Qualcuno ci ha pensato, e non a Cuba ma a Londra, in queste giornate frenetiche. È un segno che tutti i leader, eletti o tecnocratici, stanno brancolando. Non ci sono precedenti storici che li aiutino. L’11 settembre 2001 al confronto fu una "mini-crisi" dal punto di vista delle conseguenze economiche e finanziarie. Il 1929 è lontano, accadde in un contesto troppo diverso: le lezioni di quella Depressione furono apprese, per fortuna. Ma nella prima grande crisi del XXI secolo quelle lezioni ci sono utili quanto un manuale d’istruzioni del telegrafo e dell’alfabeto Morse”.

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