La contrapposizione tra democrazia e dispotismo, seppur condivisibile nella sua capacità di sintesi, risulta inefficace per comprendere al meglio gli eventi che stanno segnando i nostri giorni.
Non sarebbe più corretto dire imperi vecchi e nuovi in lotta tra di loro?
“Nel 2024 due miliardi di persone saranno chiamate alle urne, metà degli adulti del mondo: un voto popolare così vasto e variegato non si era mai registrato”, scrive Danilo Taino sul Corriere della Sera, “sapranno queste elezioni in 70 e più Paesi fermare l’onda aggressiva degli autocrati che sta mettendo sottosopra il mondo?”.
C’è qualcosa che il dualismo “democrazia dispotismo” non riesce ad intercettare, una completezza che arriva solo se mettiamo l’accento su indicatori che pensavamo desueti nel mondo uscito dalla caduta del Muro di Berlino.
Se la Storia ha un senso, le tensioni che si stanno registrando da più parti nel mondo, alcune delle quali sfociate nello scontro bellico, sono la più vera testimonianza che il sistema globale si articola ancora sulla dottrina degli imperi, con tutto quello che ne consegue.
L’aver pensato che talune ragioni fossero venute meno è stato un errore. L’idea secondo la quale il mondo globalizzato avrebbe dovuto lavare i panni sporchi prevalentemente nei mercati finanziari è progressivamente diventata una prospettiva limitata.
Ce ne siamo accorti definitivamente con la Guerra in Ucraina e con il riacutizzarsi dello scontro tra Israele e Palestina, ma i segnali di un dilatarsi preoccupante dei problemi l’avevamo già avuti, e forse non siamo stati capaci di comprenderli nel loro reale significato.
La concatenazione di profonde crisi che, dall’attentato delle Torri Gemelle del 2001 arriva fino al recente ritiro degli Stati Uniti dall’Afganistan, hanno segnato il lento ma progressivo avvicinamento di un mondo nel quale vecchie e nuove dinamiche andavano, le prime lentamente rianimandosi e le seconde velocemente sviluppandosi.
E’ per queste ragioni che oggi parliamo di intelligenza artificiale e nello stesso tempo di carri armati e stivali sul terreno.
Il problema non è ben definito se ci soffermiamo a ragionare solo sulla contrapposizione tra modelli di governo, democrazia contro dispotismo. Lo scenario è molto più ampio e per provare a razionalizzarlo dobbiamo anche pensare che la frantumazione in corso è il rigenerarsi di modelli politici, culturali, economici, di potere e di sviluppo, figli di imperi sopiti sotto le macerie di un passato troppo vicino per pensarlo inabissato definitivamente nella Storia.
I due miliardi di persone che andranno a votare in questo 2024 non si esprimeranno solo per la democrazia o per il dispotismo. Il loro voto determinerà equilibri e scenari nei quali la competizione tra imperi per un espansionismo che ormai riguarda svariati ambiti, si farà sempre più ruvida. Il problema non è solo capire se verrà fermata “l’onda aggressiva degli autocrati che sta mettendo sottosopra il mondo” ma anche cercare di comprendere se il ritorno degli imperi avrà una legittimazione dalle urne e quanto questa eventualmente peserà sulle dinamiche globali e locali.
Fenomeni solo in apparenza antitetici prevalgono nella storia degli ultimi decenni. Conservazione e modernità sono tornati ad essere i solchi nei quali le tensioni trovano energia. Se da una parte si spinge verso il passato, qui inteso come il ritorno degli imperi, dall’altra non si può non vedere il balzo di tecnologia che si sta compiendo davanti ai nostri occhi; e questa dicotomia preoccupa, perché al suo interno nasconde un rischio che sta diventando realtà, ovvero la caduta degli Stati nazionali.
Democrazia e dispotismo allora sono una faccia di un contesto mondiale che è diventato un Cubo di Rubik, un rompicapo che non dà coordinate, che si plasma all’istante per poi cambiare un minuto dopo. Quello che la “globalizzazione avanzata” degli ultimi anni aveva potuto governare, diventa oggi ingovernabile.
In Italia avremo anche noi le nostre elezioni. Oltre all’appuntamento europeo, saremo chiamati ad esprimerci su diverse regioni e comuni capoluogo. Saranno passaggi che ovviamente s’intrecceranno per l’ovvia ricaduta sugli equilibri della maggioranza e della minoranza, ma è difficile immaginare che produrranno spinte significative negli scenari di livello più alto da quello locale.
Si definiranno solo alcuni giochi di forza interni alle coalizioni, mentre in ambito internazionale il nostro ruolo, simile ad altri Stati, rimarrà quello di sempre, come un piccolo pesce remora che per sopravvivere si attacca sul dorso dei grandi animali marini.
Dunque il ritorno degli imperi ma non solo, perché tra di loro ce ne sono pure di nuovi, inediti, come ad esempio i colossi tecnologici, ormai diventati in alcuni casi più potenti di molte nazioni. E non è una coincidenza se proprio la Cina, con una serie d’interventi normativi, si è preoccupata di ridimensionare alcune grandi big tech come Alibaba e JD; lo dicevamo in apertura, imperi vecchi e nuovi in lotta tra di loro.
In questo mondo il diritto al voto rimane, per chi ce l’ha, una delle ultime difese della democrazia. Preoccupa l’astensionismo. Soprattutto adesso che occorrerebbe una maggiore consapevolezza. Ci tormentiamo per garantire la nostra costante presenza sui social e siamo sempre più distanti dall’altra forma dell’esserci, quella della partecipazione che si manifesta con una croce sopra ad un simbolo. Siamo comunque ancora in fila, anche se non più davanti ad un seggio: tra le mani un dispositivo, la testa piegata sullo schermo, pigri, disinteressati, un po’ vivi e un po’ già morti, in attesa che qualcuno ci dica chi votare.