Dino De Laurentiis: il cinema italiano? “Troppe regole e poche grandi storie”

A 90 anni compiuti il produttore Dino De Laurentiis ha idee chiare e voglia di pensare al futuro. Intervistato dal Sole 24 Ore il produttore, appena premiato con un riconoscimento  per la carriera  dall’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles, fa il punto sulla situazione sul cinema italiano.  Un’analisi, quella di De Laurentiis,  lucida e a tratti impietosa.

«I film italiani in America –  dove De Laurentiis vive e lavora –  non arrivano. Ne vedo pochi. E questo è il grande problema. I registi italiani non raccontano grandi storie, non hanno capito che solo una grande storia valica i confini nazionali»

Idee precise anche sul momento in cui il nostro cinema ha iniziato la sua parabola discendente: il 1965, quando è passata la legge Corona che cambiava le regole per accedere ai finanziamenti pubblici. Per De Laurentiis una legge sbagliata: «Richiede che per definire un film “italiano”, e candidarlo quindi a ricevere finanziamenti pubblici, devono essere italiani il regista, la metà degli sceneggiatori tre quarti degli attori e dei tecnici. Una limitazione che ha tarpato le ali alle produzioni, alla creatività, alla libertà. È anche per questo motivo che me ne sono andato dall’Italia per lavorare in America». Il problema, quindi, non sono i finanziamenti dello Stato, ma l’eccesso di norme per accedervi.

Quadro decisamente diverso, invece, negli Usa: «In America l’industria del cinema fattura più dell’industria aeronautica o dell’auto. Perché i produttori possono fare gli imprenditori, liberamente, senza fare domande in carta bollata e senza dover chiedere montagne di permessi».

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