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Elezioni, una Sinistra che ambisce alla vittoria deve fare i conti con il partito del non voto

La Sinistra se vuole provare a vincere deve guardare all’astensionismo: è lì che si gioca la vera partita per il Governo del Paese. Alle Elezioni Politiche del 1948 votò il 92,23% degli aventi diritto al voto. Nel 1983 i votanti scesero, per la prima volta, sotto la soglia del 90%, esattamente l’88,01%. Trent’anni dopo, nel 2013, sempre in occasione delle Politiche, ancora più giù, al 75,20%. Poi c’è il balzo del 2022 dove la percentuale dei votanti è arrivata addirittura ad un preoccupante 63,91%. Il partito del non voto supera abbondantemente il 35%, primo partito d’Italia.

Uno studio sui flussi elettorali realizzato dall’Istituto Cattaneo in occasione dell’Elezioni del 2022 ci dice che l’astensionismo ha un significato diverso a seconda che, “come elezioni di partenza, si considerino le Politiche del 2018 o le Europee del 2019”. “Rispetto a queste ultime si osserva un ritorno alle urne di un certo numero di elettori: si tratta di astensionisti intermittenti che votano alle Politiche ma non alle Europee, ritenute evidentemente elezioni meno importanti: ad avvantaggiarsene sono in particolare Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle”.

Invece, rispetto al 2018, hanno alimentato maggiormente l’astensionismo Lega, Forza Italia e Movimento 5 Stelle, mentre Fratelli d’Italia e Partito Democratico “sono riusciti a mobilitare maggiormente il proprio elettorato del 2018: solo in alcune città si osservano flussi, perlopiù di piccola entità, che da questi partiti si dirigono verso l’astensione”.

Dobbiamo quindi immaginare il partito del non voto come uno schieramento trasversale, nel quale confluiscono, probabilmente, sentimenti di profonda sfiducia verso la classe politica. Chi fa parte di questo «gruppone» l’ha tentate tutte, ha perso ogni speranza, ora si astiene.

Qualsiasi iniziativa politica della Sinistra ma più in generale di qualsiasi altro schieramento, dovrebbe muovere da questa consapevolezza, cercare di riportare gli elettori ai seggi.

Le continue schermaglie tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle vanno invece nella direzione opposta, con una tendenza, talvolta comica, all’auto distruzione. Si fanno la guerra per sottrarre l’uno all’altro, e viceversa, un tozzo di pane.

I partiti sono diventati come squadre di calcio che voglio vincere tutto e subito. Il tempo è ormai, anche in politica, una variabile decisiva, la velocità l’unica misura che determina l’agire. Questa accelerazione ha portato inevitabilmente alla proliferazione di leadership deboli, concentrate su iniziative capaci di massimizzare il maggiore consenso politico nel più breve tempo possibile.

Uno degli effetti più distruttivi che questa dinamica ha prodotto è stata la progressiva marginalizzazione di quei problemi che invece hanno bisogno di tempo e di processi lunghi per essere risolti.

L’isolamento di quest’ultimi ha di fatto isolato la politica dai cittadini. L’astensionismo è uno di questi problema la cui soluzione non può essere immediata; detta in altre parole non rende un beneficio subito spendibile nel mercato elettorale.

Ma la politica è anche matematica, ed i numeri parlano chiaro, la sostanza per vincere si plasma anche e soprattutto nel partito del non voto.

L’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani ci dice che con il termine “astenere” si intende “tenersi lontano da qualcosa, trattenersi dal fare una cosa, abitualmente o in singole circostanze”; dunque un significato che ha a che fare con la distanza – “tenersi lontano” – e con il non fare – “trattenersi dal fare” -.

“Mantenere la distanza” e “non fare”, a pensarci bene, sono anche le due direttive lungo le quali si manifestano alcuni tra i caratteri più significativi della società nella quale viviamo.

Per quanto riguarda “la distanza” è facile da argomentare, ormai è la fonte di energia antisociale dalla quale ci abbeveriamo tutti, consapevoli o inconsapevoli: si lavora a distanza, si studia a distanza, si ama a distanza e forse, un giorno, ci faremo operare a distanza.

La questione del “non fare” invece è più subdola, sottile, si nasconde nei pertugi delle nostre vite camuffata da imperativo necessario ed irrinunciabile. È quell’attitudine figlia della “società dei consumi” per dirla con le parole del sociologo Jean Baudrillard. Il disimpegno diventa la porta di uscita da ciò che abbiamo iniziato a percepire come superfluo, perdita di tempo: decidiamo di non leggere un libro e preferiamo scrollare con le dita gli schermi ipnotici dei cellulari, scegliamo di non abbracciare il “noi” per voler bene solo all’“io”, rimaniamo sdraiati sui nostri divani invece di uscire di casa, o più semplicemente non votiamo perché lo riteniamo inutile.

Tutto questo conferma che l’astensione è molto di più di quel che appare. Un fenomeno conosciuto da sempre che però negli ultimi anni ha registrato una significativa impennata che inquieta. 

Di certo c’è che astenersi vuol dire non partecipare, la forma più distante che ci possa essere dalla politica, ma anche il manifestarsi del mondo così per come l’abbiamo iniziato a conoscere con le sue nuove tendenze e proporzioni, distanza e disimpegno.

Una Sinistra che ambisce alla vittoria, non può non fare i conti con il partito del non voto, e questo per un’ovvia ragione di legittimità del sistema rappresentativo e di funzionamento del modello democratico, ma anche perché in termini di consenso equivale ad un bacino di voti determinante che può impattare pesantemente sugli esiti delle future tornate elettorali.

Si intravedono segnali che vanno in questa direzione? No.

Talvolta si ha pure la sensazione che l’astensionismo venga vissuto come una scocciatura per una nomenclatura politica a corto raggio d’azione, priva di coraggio e lungimiranza.

 

 

 

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