Europa, al confine fra Polonia e Ucraina passano solo gli ucraini, dolore e delusione per i migranti dall’oriente

Entrare in Europa non è difficile. Se hai un passaporto europeo. O se sei ucraino. Ma, al confine fra Polonia e Ucraina, i migranti pakistani e afghani, non riescono a passare: la nuova via non apre la porta del paradiso.

Il pedestrian crossing ucraino-polacco è affollato già di mattina presto.

All’uscita dall’Ucraina la fila è unica e se vogliamo scorrevole, rallentata solo dai respingimenti alla frontiera dei doganieri che vogliono far risparmiare tempo ai colleghi polacchi e impediscono l’accesso verso la UE a chi non è ucraino.

Giovani famiglie con pacchi e carrozzine sono invitati a tornare indietro, qualche volta anche in malo modo.

È la nuova strategia dei migranti economici e sociali quella di tentare di entrare in Europa attraverso il varco che si è aperto a causa della guerra.

Ma non è facile.

Solo gli ucraini entrano in Eu.

Gli altri, pachistani e afgani soprattutto – gli africani hanno rinunciato, troppo riconoscibili- finiranno per disperdersi nei vicini Carpazi, alla ricerca di un altro possibile passaggio per l’Europa.

Attraversata senza troppe formalità la frontiera in uscita, percorri quelle poche centinaia di metri di “terra di nessuno” che ti separano dal varco doganale polacco.

Alla tua sinistra vedi i camion in coda da giorni (nell’altra direzione, quella in entrata per l’Ucraina, lo sono da settimane), alla tua destra osservi preoccupato il serpentone di gente in coda per la dogana di ingresso in Polonia.

Ma tu sei nella fila di quelli che hanno il passaporto UE, e continui spedito fino al varco, che poi sarebbe un cancelletto di ferro bloccato da un fermo.

Non c’è nessuno, a parte il poliziotto che si precipita ad aprire il cancello e alle tue spalle un cittadino israeliano carico di valigie che stranamente viene fatto passare insieme a me dal doganiere sorridente, e giuro che è la prima volta che ne vedo uno allegro in vita mia.

Il controllo del passaporto e della borsa è stata una formalità.

All’ingresso qualche giorno prima, sotto un sole rabbioso, erano in migliaia nell’altra fila, sospetto ci sia voluto tutto il giorno per i controlli.

I taxi per la stazione di Przmesyl sono a circa un km, che percorri attraverso i tendoni dell’UNHCR e delle tante Onlus che si occupano della prima accoglienza dei profughi e dei ristori.

Al piazzale dei taxi si incontra invece la varia umanità che è solita aggirarsi tra le disgrazie umane.

Spacciano di tutto, dalle schede telefoniche ai “buoni consigli” su come “muoversi” in Polonia”.

Qualche faccia da galera guarda con troppa attenzione borsa e orologio mentre mi avvio verso una baracca che vorrebbe essere un bar ma che è buona al più come toelette di cui approfitto al modico prezzo di 5 zloty, 1 euro,  carta igienica inclusa.

Il tassista è di Cracovia, “ma si lavora più qui”, mi dice, aggiungendo un dato, non so se più empirico o statistico: un cittadino su cinque a Cracovia è ucraino.

Ed in effetti erano già tanti prima della guerra, ottimi operai ma anche professionisti, figuriamoci adesso, quando dai 7 ai 12 milioni di ucraini hanno attraversato questa ed altre frontiere con la UE.

Dopo i mediorientali schierati da Lukascenko ai confini polacchi di Bialowieza -di cui oramai non si parla più- è la Polonia la nuova frontiera dell’Europa, e lo è molto più di Lampedusa con le sue poche centinaia di sbarchi.

Una Europa dove non e’ difficile entrare.

Se sei Europeo.

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