Il destino dell’Europa dipende nei prossimi mesi da una complicata e imprevedibili serie di variabili.
L’ultimo degli ostacoli frapposti e delle battute d’arresto sul cammino dell’unificazione politica del vecchio continente viene dalla Germania. La corte costituzionale tedesca ha deciso che Berlino non potrà più accettare le decisioni a maggioranza degli organi comunitari senza consultare i parlamenti tedeschi in tutti quei casi in cui la decisione di Bruxelles tocchi la vita nazionale dei tedeschi.
La Francia, da parte sua, non risparmia anch’essa colpi alla spinta verso l’Europa politica. Il recente discorso di Sarkozy a Versailles davanti le camere riunite è sembrato a diversi analisti, oltre che uno smarcamento dalle posizioni di Maastricht, un piccolo affronto alla politica economica tedesca in Europa. Parigi, sotto la spinta dell’influente fazione euroscettica di palazzo, ha annunciato politiche di incremento della spesa pubblica a dispetto dei vincoli imposti dal trattato comune. Insomma, la Francia si starebbe (ri)convertendo a un repubblicanesimo nazionale privo di remore.
Ma, così facendo, si scava il fosso tra Parigi e Berlino. Quest’ultima vuole, al contrario della Francia, una politica di contenimento della spesa pur di conquistare quote di mercato. La Germania basa, infatti, la sua politica economica sul risparmio e sulle esportazioni mondiali. Pur sacrificando così i consumi interni, si ottiene, secondo gli analisti tedeschi, la copertura del welfare per una popolazione sempre più vecchia.
La crisi dell’asse franco-tedesco, sul quale nacque e si sviluppò, il progetto europeo, è uno dei molteplici segnali dell’insabbiamento della spinta propulsiva dell’europeismo.
Le contrapposte tendenze di un ritorno alla sovranità nazionale e di una spinta verso una collegialità decisionale europee determinano in questi tempi di sismi finanziari un equilibrio impossibile. Le presidenze dei singoli paesi, prese nelle loro difficoltà interne, economiche e politiche, guardano più ai loro assetti interni che alla riforma europea. E intanto si guarda con incertezza nel futuro, aspettando il secondo referendum irlandese sul trattato di Lisbona.