Gabbo, Abba: gli anni di galera non bastano mai, quelli degli altri…

Se i giornalisti la smettessero di chiedere ai parenti delle vittime se sono “contenti” degli anni di galera inflitti ai responsabili del loro lutto, sarebbe un piccolo ma significativo passo verso la civiltà, almeno delle parole se non dei sentimenti. Ma è una battaglia persa quella per ricondurre il lessico dei giornalisti a coerenza e misura almeno dei concetti. Dovrebbero sapere che “contenti” si può essere solo di una rivincita o di una vendetta, non di una sentenza. Dovrebbero sapere che la loro domanda è istigazione, dovrebbero conoscere la differenza tra un giudizio razionale e morale e un moto dell’animo o delle viscere. Battaglia persa, ma i giornalisti vanno perdonati perchè letteralmente non sanno quello che fanno. Non sanno, ignorano che domandando della contentezza in fondo offendono l’intervistato, sollecitandolo come si fa agitando un osso davanti a un cane o un drappo rosso davanti a un toro.

Battaglia persa anche quella, anzi a maggior ragione persa quella contro un comune sentire che il giornalismo ha semplicemente diffuso e timbrato. Comune sentire che dice: gli anni di galera, quelli degli altri, non bastano mai. Sei anni è stata la condanna per l’agente della polizia stradale Spaccarotella. Colpevole di aver ucciso con un colpo di pistola Gabriele Sandri, un ragazzo tifoso della Lazio. Spaccarotella ha sparato come non doveva, forse sparare non doveva proprio. Non aveva intenzione di uccidere, ma ha volontariamente assunto il rischio di uccidere. Questo dice la sentenza di primo grado. A parenti e amici di Sandri sei anni sembrano una licenza di omicidio. Sei anni sono dunque pochi? Mettiamo siano pochi, soprattutto perchè, se confermati in appello, saranno poca o niente galera effettiva. Il Pubblico ministero ne aveva chiesti 14 di anni che si sarebbero tradotti in circa quattro di detenzione effettiva. Era la misura giusta per un agente che ha sparato, colpevole, ma ha sparato da lontano ad un gruppo di persone che aveva appena finito di scontrarsi con altri tifosi? Persone in quel momento pericolose e in fuga e non semplici e ignari passanti? Mettiamo 14 anni fosse la pena giusta, a parenti e amici di Sandri non sarebbe bastato. La loro misura era l’ergastolo, una pena che essi commisurano all’intensità del loro dolore e della loro perdita. L’ergastolo sembra loro congruo perchè per loro la pena deve tentare di risarcire il lutto. Risarcire, cioè di fatto vendicarsi.

Ma se 14 anni teorici e quattro di fatto fossero la giusta pena per Spaccarotella, allora quale pena per i due commercianti milanesi, padre e figlio pregiudicati, che hanno ammazzato a sprangate, in uno scontro voluto, cercato con una lunga rincorsa, ammazzato a distanza ravvicinata un ragazzo di 19 anni che aveva rubato nel loro negozio un pacco di biscotti? Fausto e Daniele Cristofoli hanno voluto ammazzare Abba nella maniera più diretta e crudele, per “futili motivi” e non per imprudente e sciocco intervento come Spaccarotella. I due Cristofoli sono stati condannati a 15 anni. Se 14 anni è la misura per Spaccarotella, per i due sprangatori la proporzione diretta almeno 30 anni.

Al giornalista il padre di Abba ha detto che non capiva la domanda sull’esser “contento”. Il giornalista è rimasto deluso e ha insistito nel suo servizio la cui tesi era che 15 anni erano pochi, alla sola condizione che lo gridasse qualcuno dei parenti. E’ il modo incosciente di diffondere e rafforzare una cultura infame. Cultura che misura la giustizia, la congruità della giustizia sulla propria personale e individuale condizione emotiva e sociale. Sono pochi gli anni di galera che in Italia si comminano quando si spegne una vita altrui? Forse sì, forse la legge è troppo buona e indulgente. Ma se è così, se rifiuta questa legge buona e indulgente quando si è vittime e parti lese, allora non la si dovrebbe invocare quando si è colpevoli. Perchè gli stessi che vogliono l’ergastolo per Spaccarotella pretendono pene miti, anzi mitissime, anzi comprensione, anzi perdono garantito per tutti i reati, anche gravi da stadio? Perchè se mettono sotto con un’auto mio figlio io chiedo il massimo della pena e, se mio figlio investe qualcuno, io, sempre io, chiedo il minimo della pena?

Si vuole una legge e sentenze durissime? Dignità vorrebbe che, se le si vuole, si sia disposte ad accettarle anche quando riguardano la mia famiglia, il mio clan, la mia corporazione, il mio quartiere, il mio partito. Se invece per tutti questi e per tutto questo chiedo, anzi esigo clemenza, allora dignità umana vorrebbe che la clemenza, la mano morbida la accetti anche per gli altri. Non è così, quasi nessuno fa così. Regna invece l’ipocrita e moralmente volgare frase: “Mi aspetto giustizia dallo Stato”. Le parole sono sempre le stesse ma vogliono dire mi aspetto di farla franca se sono il colpevole e mi aspetto lo Stato mi dia una mano a vendicarmi se sono vittima. Brutta cultura, brutta gente. Noi giornalisti, noi tutti.

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