Genova, la giunta Toti, i camalli e la voce del “popolo” ligure. Ho ascoltato alla televisione nel programma “Quarta Repubblica,” una parlamentare del PD, la quale, a proposito dello scandalo “Toti-Signorini” enunciava alcuni dotti “principi”:
-bisogna fare le gare per l’assegnazione dei moli, perché, quando si favorisce un’impresa si danneggiano le altre, in contrasto con i principi del libero mercato;
-gli imprenditori non dovrebbero finanziare la politica, perché le dazioni di chi fa un’attività economica sono sempre mirate a ricevere un “corrispettivo”;-i versamenti al singolo candidato danneggiano gli altri candidati: si creano così condizioni simili a quelle del voto di scambio e, nel caso di Genova c’è stato sentore di accordi mafiosi;
-noi crediamo nella giustizia, stiamo a vedere cosa decideranno i Magistrati alla fine del percorso, prima di allora non si devono fare illazioni o commenti;
-in ogni caso, sul piano etico non può accadere che un decisore pubblico riceva imprenditori al di fuori delle sedi istituzionali.
Poiché questa parlamentare appartiene al partito dei “replicanti” (basta sentire uno di loro per capire le idee di tutti gli iscritti, dal segretario in giù), ho ritenuto di dover rispondere alla voce viva dell’intero popolo della sinistra.
Cominciamo con il voto di scambio. Sapete quale è sempre stato il gruppo dominante nel Porto di Genova che, di fatto, ha impedito ogni rinnovamento imprenditoriale per almeno settant’anni e contribuito al declino dello scalo? Lo sanno anche le pulci: il glorioso “sindacato” dei “camalli” (la Culmv) che aveva ottenuto l’esclusiva della mano d’opera e allontanato qualsiasi lavoratore “estraneo”.
Andate a rivedervi Marlon Brando nel film Fronte del Porto, del 1954. Lo scalo di New York era finito nelle mani di un sindacato che manteneva il controllo delle banchine a mano armata. Non è stato mai possibile liberare quel porto dal potere sindacale e il governo dello State aveva dovuto trasferire lo scalo nel New Jersey.
Non intendo affermare che i camalli genovesi usassero metodi illegali, ma è certo al di là di ogni dubbio che ogni lavoratore portuale votava PCI (nelle sue varie denominazioni successive). I camalli erano l’anima degli scioperi e bloccavano la città in occasione di manifestazioni politiche che non avevano nulla a che vedere con la portualità.
Il privilegiato rapporto dei camalli di Genova, di Livorno e di altri scali marittimi con il partito fascista negli anni del regime e con il PCI nel dopoguerra fino ad anni recenti, condizionava gli imprenditori i quali dovevano accettare le condizioni economiche e i ritmi di lavoro decise dai vertici del Consorzio del Porto in sintonia con la Culmv.
Non risulta che la Compagnia sia mai stata messa in gara con altre cooperative del lavoro, in armonia con le leggi di mercato. Neppure un amministratore brillante come Roberto D’Alessandro era riuscito a scardinare quel monopolio. In conclusione, si è trattato del più grande voto di scambio nella storia della Repubblica italiana.
Parliamo ora delle concessioni degli spazi marittimi. Solo un pirla allo stato puro può paragonare la concessione delle banchine all’assegnazione di una qualsiasi commessa per via di gara al prezzo più alto. Il contratto di concessione prevede l’obbligo di fare investimenti pluriennali, indicare il livello di occupazione, organizzare al meglio lo scalo nel lungo periodo, impegnarsi a pagare canoni adeguati.
Il potenziale assegnatario deve possedere un patrimonio e mezzi finanziari idonei per garantire l’attuazione del Piano e la stessa concessione scade se questi” requisiti” vengono meno. La durata della concessione dipende dagli anni entro i quali l’azienda stima di ammortizzare l’investimento richiesto. Si tratta dunque di selezionare le imprese “meritevoli”, che formano una sorta di oligopolio, al punto che sono le stesse imprese a “spartirsi” i moli.
La spartizione preventiva è sempre stata la regola e tutti i presidenti dell’Autorità portuale hanno adottato questa tecnica di assegnazione, considerata la più indolore e proficua per lo Stato, la sola che può tutelare la mano pubblica da un contezioso permanente. Chi storce la bocca non è mai riuscito a proporre un sistema diverso.
L’Autorità giudiziaria entra in gioco allorché qualche imprenditore fa un esposto perché si ritiene danneggiato, come aveva fatto Messina durante la presidenza di Giovanni Novi; il quale fu arrestato e poi assolto in Cassazione, dopo sei anni, perché “aveva fatto bene” a seguire l’indicata tecnica di assegnazione.
Non sono mai state registrate reazioni del PD sul caso Novi e sull’attesa messianica della “giustizia” e dei suoi tempi. Del resto, che la sinistra abbia avuto spesso un trattamento giudiziario speciale in materia economica, è un fatto di cronaca.
L’odore di mafia nel caso Toti non riguardava l’Autorità portuale, ma un presunto voto di scambio relativo alla comunità di siciliani “sbarcati” a Genova, circostanza servita solo per “allungare” i tempi dell’indagine giudiziaria.
Ed eccoci alla questione etica relativa al fatto che gli uomini “puri” della sinistra mai sarebbero andati sulla barca di Spinelli per discutere di vicende “istituzionali”. Questa tesi è contestata dall’uomo più importante del PD, l’on. Ministro e sindaco di Genova Claudio Burlando, l’unica mente politica “fine” degli ultimi vent’anni di quel partito, anche Lui vittima della giustizia.
Sul piano etico si può certo concordare sul fatto che la fiducia verso un sistema politico discende dalla capacità dei governanti di convincere i cittadini che il bene comune non si identifica con quello di alcuni gruppi e che l’esercizio del potere non è strumentale per realizzare l’interesse di determinate categorie.
I comportamenti degli imprenditori e dei rappresentanti istituzionali genovesi durante il periodo dei grandi monopoli portuali fino ad oggi, non sembrano certo improntati a sani principi di governo. Ma questi aspetti non rientrano nella sfera di competenza della magistratura.
Saranno gli elettori a decidere sui meriti della Giunta Toti. Giorni fa sono andato a cena presso un ristorantino sulla spiaggia di Boccadasse. La titolare mi ha dichiarato: “volevo chiudere l’esercizio, quando, all’improvviso, una quantità incredibile di clienti ha invaso il mio locale. Si trattava dei turisti attratti dalla politica di valorizzazione del territorio ligure, voluta da Toti e Bucci. Continuerò a votarli e me ne frego degli scandali giudiziari. Loro hanno fatto molto per me e la mia categoria, mentre gli amministratori pubblici del passato stavano per farmi fallire”. Quando si dice: la voce del popolo!