Sono giovani e arrabbiati. Sono un gruppo di ragazzi giapponesi che ormai da tempo si riuniscono nei parchi. Le loro armi sono i cartelloni e i megafoni. Cantano slogan di condanna contro il governo giapponese e la mancanza di posti di lavoro e opportunità.
Proteste di questo tipo sono all’ordine del giorno in molte parti del mondo, ma quando arrivano da un paese come il Giappone dove “il rispetto delle regole” è legge, queste fanno ancora più rumore. Sin dal 1960, quando le proteste di giovani si trasformarono in episodi di violenza, anche la più piccola forma di dissenso da parte dei giovani è sempre stata vista come un tabù.
Ma con una disoccupazione che nel mese di Aprile ha toccato il 9,6% per i giovani tra i 15 e i 24 anni e la crisi economica in corso c’era da aspettarselo. Così crescono sempre più nuove forme di attivismo tra i giovani giapponesi. «Sono qui perché voglio cambiare la società» dice Yoshihiro Sato, un ragazzo di 28 anni. Poi continua: «Ti vuoi unire a me?»
L’unione fa la forza e le loro richieste sono semplici: vanno da migliori opportunità professionali a maggiori garanzie nel lavoro fino a una più forte sicurezza sociale.
Da anni a questa parte, tuttavia, le forme di dissenso sono state così poche in questo Paese che molti hanno disimparato a protestare. Così alcuni dei manifestanti hanno richiesto un corso per imparare a farlo. Il Centro di ricerca Asia-Pacifico, che si occupa di organizzare seminari su questioni sociali, ne ha messo a punto ad hoc nel mese di marzo. E visto l’interesse ricevuto dal corso ha pensato di organizzare dei veri e propri “programmi di training per gli attivisti”. Le sessioni di lezioni includono addirittura spiegazioni su come fare dei cartelloni o come organizzare delle campagne sul web.