Giustizia e separazione delle carriere dei magistrati. Il dibattito sulla proposta governativa di modifica dell’ordinamento giudiziario si arricchisce di giorno in giorno di nuovi elementi, taluni di carattere tecnico, altri più squisitamente politici, in senso lato, perché recepiscono le osservazioni dell’opinione pubblica delle quali tutti dovrebbero tenere conto, il Governo, che ha assunto l’iniziativa riformatrice, il Parlamento chiamato ad esaminarla e la stessa Magistratura che non deve arroccarsi in una difesa acritica dell’esistente.
Soprattutto, scrive Salvatore Sfrecola nel suo blog Un Sogno Italiano, occorre evitare, come sento spesso, di mettere insieme un po’ tutto, le norme costituzionali, le regole del processo, la realtà della gestione del servizio giustizia. Così si fa molta confusione che non consente di individuare il bandolo della matassa, perché tutte le questioni che vengono sollevate hanno una loro dignità e un loro rilievo ma vanno esaminate nel contesto giuridico o gestorio nel quale emergono.
Così la lentezza dei processi, che nel penale spesso danneggia la persona offesa dal reato, mentre nel civile i tempi sono assolutamente incompatibili con la tutela degli interessi dei cittadini e delle imprese, per molteplici cause, il numero dei procedimenti, la disponibilità di magistrati e cancellieri, l’inadeguatezza di alcune regole del processo.
Poi c’è il tema degli errori giudiziari, del risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e la responsabilità civile dei magistrati, la cosiddetta “legge Vassalli” (13 aprile 1988, n. 117), e quella dell’equa riparazione del termine della ragionevole durata del processo, la “legge Pinto” (24 marzo 2001, n. 89). Strumenti assolutamente inadeguati rispetto i danni ed alle conseguenze che ne possono derivare per i cittradini.
Quel che emerge, non da oggi, nel dibattito pubblico e in quello, non meno importante delle persone, nel parlottare sui luoghi di lavoro, in metropolitana, tra gli amici al bar dove si assommano denunce di ingiustizie, doglianze per la presunta mancata repressione di illeciti gravi “eppure sotto gli occhi di tutti”, insieme a opinioni ricorrenti in ambienti condizionati da ataviche frustrazioni personali e familiari contro il “potere” dei magistrati, accusati di lavorate poco e di guadagnare “troppo”, un argomento sempre efficace in una società che stenta a riconoscere il merito e l’impegno professionale, dominata tradizionalmente da una generalizzata invidia per tutto ciò che hanno “gli altri”.
Si dicono liberali, perché fa fino, ma in realtà sono degli intolleranti, astiosi. Del resto, non si spiegherebbe diversamente il successo che nel tempo hanno avuto movimenti assolutamente illiberali, il fascismo e il comunismo che incarnavano l’invidia sociale contro le classi più agiate, i signori o i “cappeddi” a Bronte massacrati dai contadini ribelli che pensavano di farsi giustizia da soli contro i latifondisti, avendo Garibaldi promesso la terra a chi effettivamente la coltivava.
E così la magistratura, che svolge una funzione essenziale per il mantenimento della coesione sociale in un paese democratico, a garanzia di tutti i cittadini, non può essere indifferente al rilevante calo di popolarità di cui dicono i sondaggi sul grado di apprezzamento degli italiani per le istituzioni. La magistratura si colloca intorno al 35%, esattamente la metà dell’apprezzamento riservato alle forze dell’ordine, un dato grave, considerato che il sistema sicurezza ed il sistema giustizia sono in qualche modo espressione della medesima tutela della legalità.
A questo punto è il caso di chiedersi se i problemi della Giustizia che abbiamo indicato saranno risolti dalla separazione delle carriere. Assolutamente no. Ne è convinto un grande penalista, il professor Franco Coppi, per il quale, intervistato da Maria Corbi e Francesco Grignetti per La Stampa, la riforma proposta è “norma ideologica”. Insomma, “non cambierà proprio nulla, né nei tempi, né nelle decisioni, né nei possibili errori giudiziari”. Ed aggiunge: “non ho mai avuto l’impressione che un giudice abbia pronunciato una sentenza solo perché intendeva rispettare il collega dell’accusa e solo perché appartenenti al medesimo ordine. Il problema vero è che un magistrato sia intellettualmente onesto”.
Ugualmente drastico il giudizio di Ernesto Carbone, avvocato, già deputato del Partito Democratico: “sono contrario perché si sa già come finirà… è fisiologico che i pm finiranno sotto il controllo del governo. E questa prospettiva mi fa paura… finirà come in Francia. Se crei dei super-poliziotti, a qualcuno dovranno pur rispondere”. E si dice d’accordo con il Professor Coppi, la riforma non avrà effetti sui due grandi mali della giustizia italiana. Non sui tempi lunghi del processo, che sono uno scandalo. E non sugli errori giudiziari”.
Per Piercamillo Davigo, intervistato da Virginia Piccolillo per il Corriere della Sera, “la migliore garanzia per i cittadini è un pm che ragioni come il giudice. Più il pm si allontana dalla visione del giudice e peggio è”.
Naturalmente difende la “sua” riforma il Ministro della Giustizia Carlo Nordio intervistato da Hoara Borselli per Il Giornale. Per lui “il problema è che l’imputato sapesse che il suo accusatore condiziona la carriera del suo giudice non sarebbe sereno” a dimostrazione che confonde i problemi della composizione e del funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura (C.S.M.) con l’ordinamento della magistratura.
Una cosa giusta la dice il ministro richiamando sentenze di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo per “intercettazioni errate”: “se la Magistratura, nella sua sacrosanta indipendenza non ha saputo e non sa fare ordine in casa propria, allora è inevitabile l’intervento unilaterale del parlamento sovrano”.
Singolare, poi, l’argomentazione con la quale critica l’ipotesi di uno sciopero dei magistrati: “i cittadini non capirebbero che una categoria – a torto o a ragione ritenuta privilegiata, ben retribuita e senza responsabilità – scioperi contro una legge voluta da chi è stato democraticamente eletto”.
Io non sciopererei in considerazione del fatto che la magistratura esprime un potere dello Stato, ma l’argomento del Ministro è fragile, i sindacati scioperano sempre, quanto meno, per forzare la mano di Governo e Parlamento, cioè di “chi è stato democraticamente eletto”.
Infine, a dimostrazione del tono della polemica il titolo virgolettato dell’articolo “senza separazione tra pm e giudici all’estero ci prendono per pazzi” non si rinviene nel testo dell’intervista ma si dovrebbe dedurre da un riferimento al fatto che nel C.S.M. “i pubblici ministeri, cioè gli accusatori, danno i voti ai giudici”, una “stravaganza” per la quale ciò che avrebbe, ha concluso Nordio, “i colleghi stranieri ci prendono per matti”. Che è un aspetto diverso da quello implicito nel titolo, una questione alla quale si potrebbe porre rimedio modificando l’ordinamento del C.S.M. non l’ordinamento delle carriere. Ma tant’è.
Qualche flash dal dibattito in corso a conferma che si mette insieme tutto evitando di affrontare i veri problemi della Giustizia, una norma “ideologica” come nel titolo dell’intervista al Professor Coppi, e che pertanto svilisce anche il ruolo di Governo e Parlamento.