IL FORTE RISCHIO FINANZIARIO DEI GOVERNI EUROEI

La Stampa pubblica un commento di Mario Deaglio sulla crsi finanziaria in atto intitolato ”Garanzie in cerca di fiducia”. <Lo riportiamo di seguito:

”La giornata di ieri finirà nei libri di storia. Tre grandi temi hanno scandito le ore nervose e preoccupate di governi, operatori finanziari e cittadini. Il primo tema è largamente positivo e riguarda il successo del tentativo di coordinamento planetario. La concertazione, mancata sabato al vertice europeo di Parigi, emersa poi in maniera assai pallida all’Ecofin di martedì a Lussemburgo, è stata trovata, a livello mondiale, mercoledì quando in Europa era ora di pranzo.

Otto banche centrali, compresa quella cinese, hanno messo da parte esitazioni e gelosie e deciso una riduzione importante e coordinata nel costo del denaro. Per la Banca Centrale Europea si è trattato di un’implicita ammissione che l’aumento dei tassi, deciso non più tardi di tre mesi fa, era sbagliato, o comunque superato.

Poco importa se gli effetti immediati sono stati irrisori o addirittura negativi, le Borse avranno modo di metabolizzare questa importante riduzione nei prossimi giorni. La riduzione concertata dei tassi costituisce un forte segnale di discontinuità rispetto a un atteggiamento di relativa indifferenza e minimizzazione, prevalente ancora poche settimane fa: la crisi finanziaria è passata al primo posto nella lista dei problemi mondiali, con la prospettiva, avanzata ieri dal Fondo Monetario, di un arresto della crescita dell’economia globale.

In questa linea si colloca il secondo tema della giornata, ossia la rapida convocazione di una conferenza internazionale, forse preceduta da una riunione europea. Il G-8, proposto dal primo ministro inglese Brown, non è forse la sede migliore, in altre occasioni le sue riunioni hanno prodotto essenzialmente banalità, ma ogni segnale di svolta è importante. Le regole non potranno non andare nel senso di una revisione restrittiva dell’operatività internazionale degli enti finanziari, con l’eliminazione o la riduzione di operazioni finanziarie particolarmente a rischio, l’aumento dei poteri di controllo da parte di autorità nazionali e internazionali e con un maggiore equilibrio tra ricchi e poveri: è infatti essenziale che anche i maggiori Paesi emergenti (che detengono, tra l’altro, la grande maggioranza delle riserve monetarie e delle riserve petrolifere) siano invitati a partecipare a quello che dovrebbe essere il germe della «nuova Bretton Woods», da sviluppare poi nel 2009 quando a Washington ci sarà una nuova amministrazione nella pienezza dei suoi poteri.

Il terzo tema riguarda gli interventi di singole autorità nazionali europee. Quasi tutti i Paesi si sono affannati a dare solenni garanzie sui depositi bancari. Così si è mossa anche l’Italia, dove peraltro le garanzie erano già elevatissime. Naturalmente la speranza è che il solo fatto di sapere che i suoi depositi sono garantiti tranquillizzi il depositante – traumatizzato da un’informazione sconsideratamente allarmistica -, lo induca a non ritirare i suoi depositi e quindi non richieda alcun esborso finanziario. L’intervento è mirato non già a tappare buchi che, quanto meno nel caso italiano, non esistono ma a contrastare una psicosi collettiva. Accanto alle garanzie sui depositi si collocano le garanzie, quasi soltanto verbali, di continuità di credito alle imprese, soprattutto a quelle piccole.

Le garanzie ai depositanti sperabilmente non comporteranno alcun esborso, i salvataggi e il sostegno alle banche invece sì. Ancora una volta è la Gran Bretagna il Paese con gli sviluppi più rilevanti, anche perché le sue banche, maggiormente immerse nel processo di globalizzazione, sono quelle in peggiori condizioni finanziarie; il governo è intervenuto con una parziale «nazionalizzazione», ossia con un sostegno rappresentato da nuove azioni, prive però di diritto di voto. Dal canto suo, la Germania è intervenuta salvando la Hypo Real Estate con 35 miliardi di euro mentre la Francia, dopo aver iniettato tre miliardi di euro nella Dexia, una banca franco-belga, ha garantito che nessuna banca sarà lasciata fallire. In questo contesto si collocano anche le misure annunciate relative alle banche italiane.

Sostenendo le banche, e intervenendo in vario modo nella loro operatività, i governi europei si assumono un forte rischio finanziario per evitare un rischio politico. Il rischio finanziario deriva naturalmente dal fatto che i fondi per questi interventi sono a carico del debito pubblico, il rischio politico è rappresentato dalla prospettiva di caos economico e sociale derivante dalla corsa ai depositi. La Gran Bretagna, dove il debito pubblico è basso e il pericolo di caos è considerato elevato dal governo, può permettersi questi interventi assai più facilmente dell’Italia, il cui debito pubblico è già elevatissimo mentre la solidità delle banche è sicuramente maggiore. L’azione del governo sarà quindi oggetto di grande attenzione, in Italia e all’estero, per i suoi possibili riflessi nei delicati equilibri della proprietà di queste istituzioni-chiave”.

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