Il nuovo ciclismo va protetto, patrimonio sociale, fenomeno sportivo in crescita la lezione del Tour di Pogacar

Lo sloveno Tadej Pogacar, 22 anni e dieci mesi, ha vinto per la seconda volta consecutiva il Tour de France, la regina delle corse a tappe. Il sogno di tutti i ciclisti. L’Everest delle due ruote. Tutto il resto è mezza collina. Di più: il ciclismo è cambiato, nuovi fenomeni crescono.

L’era Coppi e Bartali è preistoria. L’era Merckx, Gimondi, Hinault, Indurain pura archeologia. Ecco che cosa ci ha detto  e insegnato questo Tour 2021. In archivio da domenica.

1) È nata una nuova generazione di fenomeni del ciclismo. Una nuova mentalità. Nuove tecnologie. D’accordo, ci vogliono sempre cuore e gambe, intelligenza tattica, ma il supporto tecnologico concorre a sbriciolare i vecchi primati.

Oggi indossando un body e un casco in una cronometro, si guadagnano 2” al chilometro. Tanta roba. Viviani , il nostro miglior sprinter, alle Olimpiadi di Tokyo indosserà un body che ha richiesto tre anni di studio. E la ricerca mica è finita. Anzi. Ai Giochi ne vedremo delle belle.

2) I fenomeni però vanno protetti. “Sono il patrimonio dell’intero ciclismo“, come dicono Saronni e Garzelli, due che hanno vinto tanto e oggi fanno i tutori e promotori di uno sport in netta ascesa. Dunque ha fatto bene Pogacar a rinunciare alla  Vuelta di Spagna e giocarsi solo le Olimpiadi.

E bene ha fatto l’olandese Van der Poels ( nipote del grande Poulidor ) a non spremersi al Tour. Vinta la seconda tappa, provata l’emozione di vestire la maglia gialla per sei frazioni, ha salutato tutti e se ne è andato.

I francesi hanno brontolato ( eufemismo, chiedere a Paolo Conte ), ritenendo il suo abbandono un atto di superbia, un’onta per la Grand Boucle. Si sono sentiti come i Romani alle forche caudine. Esagerati. Ah, questi francesi!

3) Il Tour ha anche invitato, platealmente, con il famoso raid poliziesco nell’ hotel della Bahrain-Victorius (terminato alle due di notte  – irruzione con 40 agenti mandati dalla Procura di Marsiglia – ha invitato, dicevamo,  a non abbassare la guardia nella lotta ( doverosa ) al doping chimico e meccanico.

Cioè lotta a certe pasticche e a certi misteriosi e invisibili aggeggi che “assistono” la pedalata. Voci al riguardo ne circolano tante. Qualcuno le scrive anche come il quotidiano svizzero “Le Temps“. E per fortuna che lo dirige un vecchio intellettuale , liberale e ginevrino. Ma sia all’UCI (  organo  mondiale di governo dei ciclismo affiliato al CIO ) che alla Wada ( Agenzia mondiale che lotta contro il doping nello sport), non risulta niente. Per ora.

Solo chiacchiere indigeste. Fuffa. Troppo facile prendersela col ciclismo. Ma è anche la conferma, seppur indiretta, che questo sport sta crescendo come insegnano Slovenia e Danimarca. Diceva Einstein: “La vita è come andare in bicicletta. Per restare in equilibrio devi muoverti“. Appunto.

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