Il Partito Comunista e i suoi due leader più importanti, Palmiro Togliatti e Enrico Berlinguer, come li ricorda un ex dirigente di peso, Aldo Tortorella, in due interviste che rappresentano un contributo signficativo alla storia d’Italia.
L’intervista più recente è stata raccolta nel 2024 da Stefano Cappellini per Repubblica, l’altra risale al 2019, è uscita sul Corriere della Sera e porta la firma di Walter Veltroni, ultimo segretario della penultima mutazione del Pci.
Cappellini ha intervitato Tortorella in occasione del sessantesimo anniversario della morte di Togliatti, avvenuta in Russia il 21 agosto.
I suoi funerali a Roma, ricorda Cappellini, partecipati da decine di migliaia di persone, ispirarono un celebre quadro di Renato Guttuso e un meno noto film dei fratelli Taviani.
Particolare che marca visivamente lo stacco dei tempi è che a quei funerali, totalmente laici, in una piazza di Roma, la vedova, Nilde Iotti e la figlia portavano il velo.
Non sono più molti, aggiunge Cappellini, per ragioni che non serve spiegare, i testimoni diretti della stagione togliattiana e ancora meno quelli che hanno lavorato con lui nel partito. Tra questi c’è senz’altro Tortorella.
Aldo Tortorella nel 2024 ha 98 anni. Fu partigiano, parlamentare del Pci e dirigente nei massimi organi del partito, direttore dell’Unità e tuttora alla guida del periodico da lui fondato, Critica marxista. Dotato di memoria nitida, Tortorella ricorda perché Togliatti divenne il Migliore, com’era soprannominato, cioè il leader indiscusso dei comunisti italiani.
“Perché aveva capacità intellettuali e culturali superiori. Quando negli anni Trenta i sovietici chiesero a Longo di assumere il ruolo di segretario, fu Longo stesso a dire: spetta a Togliatti”.
Togliatti tornò in Italia a guerra in corso dopo molti anni trascorsi in Unione sovietica, compresi quelli delle purghe staliniane.
“Ricordo una sua espressione inusuale e sofferta che mi colpì. A Pajetta e Amendola, che chiedevano altre spiegazioni dopo le rivelazioni di Krusciov su Stalin, disse: “Voi non sapete cos’era l’Hotel Lux””.
Era ’hotel dove alloggiavano quasi tutti i dirigenti dei partiti comunisti ospiti di Mosca, molti epurati o assassinati.
“Un covo di spie e doppiogiochisti. Togliatti, che era un sostenitore di Bucharin, rischiò di fare la stessa fine”.
Per salvare la pelle fu costretto a tacere sui crimini di Stalin che pure aveva visto con i propri occhi, ricorda Cappellini.
“Vero, dovette piegare la testa, dopo aver detto ai sovietici: voi potete proibirci di dire quello che pensiamo, ma non potete proibirci di pensarlo”.
“Ma in Italia Togliatti non praticò la doppiezza. Fu un sincero democratico, che aveva scelto la via della democrazia progressiva anziché la dittatura del proletariato, cosa che Mosca non gli perdonava. Quando De Gasperi cacciò i comunisti dal governo, Togliatti non reagì come gli chiedevano i sovietici e una parte del Pci, perché aveva scelto di accettare le regole della democrazia”.
Però non ruppe mai con l’Urss. “Faceva parte di una generazione che aveva visto nell’Urss la realizzazione della rivoluzione socialista. Ma arrivò a dire su Nuovi argomenti che il problema delle degenerazioni staliniane non poteva riguardare un uomo solo ma un difetto del sistema».
Com’era Togliatti in privato?
“Un uomo molto affettuoso con i suoi cari. Una estate lo raggiunsi in villeggiatura in Valtellina, su quello che i locali chiamano il Monte Disgrazia. C’era già la Iotti con lui”.
Un caso che creò scandalo nel Pci. Togliatti lasciò la moglie Rita Montagnana, militante, per mettersi con la futura presidente della Camera, molto più giovane di lui.
“C’era una componente bigotta nel Pci. Va tenuto in conto che alle origini il Pci non era un partito per la classe operaia bensì della classe operaia. E tra gli operai vi erano forme di ostilità per quelli che erano considerati costumi borghesi».
Si poteva dissentire nel Pci?
“Eccome. Lo stesso Togliatti fu molto osteggiato, all’inizio e non solo. Nella Direzione del partito si svolgevano confronti assai espliciti che poi spesso, ma non sempre, venivano diplomatizzati in Comitato centrale. Era il centralismo democratico, che oggi alcuni rivalutano”.
Differenze tra Togliatti e Berlinguer?
“Berlinguer seguì con capacità la stessa linea interna fino al compromesso storico. Ma non sui rapporti internazionali. La sua rottura con l’Urss fu reale, tanto che in Bulgaria fu vittima di un attentato”.
Chi rappresenta oggi gli interessi dei più deboli?
«Vi è una debolezza grave. Come disse qualche anno fa Warren Buffett: certo che la lotta di classe esiste, solo che l’abbiamo vinta noi. In questo capitalismo selvaggio, incarnato da personaggi come Elon Musk, alcuni poteri economici non hanno argini».
La soluzione non è il comunismo.
«Ancora fino all’epoca di Blair nello Statuto del Labour c’era come finalità la proprietà pubblica dei mezzi di produzione e scambio. La ricetta era economicista e trascurava la complessità della vita individuale e sociale, ma non penso che non abbia ancora delle ragioni».
Per Meloni il comunismo va equiparato agli altri totalitarismi.
«L’Urss fu certamente un regime tirannico, ma questa resta una sciocchezza. I principi che ispirarono il movimento socialista sono libertari, alla base del fascismo c’è la dottrina del capo, che non a caso fa capolino anche dalla cosiddetta riforma del premierato».
Meloni e il fascismo, la sua idea?
«Fa una fatica bestiale a prendere le distanze, mi pare ferma alla lezione di Almirante: non rinnegare e non restaurare».
E la sua lezione sul comunismo?
«Il comunismo non è un orizzonte, è un punto di vista».
La precedente intervista è del 2019. Ricorda Tortorella che Berlinguer, “quando decise di tagliare il cordone finanziario con i sovietici, la disposizione di togliere i soldi l’ha decisa insieme a Chiaromonte, allora coordinatore della segreteria, e l’ordine è stato dato a Cervetti, responsabile dell’organizzazione. Fu una scelta importante e coraggiosa, Berlinguer era appena diventato segretario.
“E l’anno in cui avvenne coincide, non a caso, con il lancio della strategia del compromesso storico. Berlinguer tagliava quei legami per garantire l’autonomia necessaria al partito per essere coerente forza nazionale e di governo”.
Veltroni parte chiedendo del fascismo. Il fascismo che hai conosciuto da ragazzo è stato veramente l’autobiografia di una nazione?
“Il fascismo aveva un grande consenso, persino quando è scoppiata la guerra. Le cose sono cambiate con l’inizio dei bombardamenti, con le sconfitte dell’esercito e con la follia della spedizione in Russia. C’era sempre una ritirata ed era sempre strategica. Allora gli italiani cominciarono a ritirare il consenso al regime. E cominciò a crescere la simpatia verso il movimento clandestino nelle città e anche in montagna. Ma il fascismo ebbe consenso popolare, non dimentichiamolo mai”.
Una domanda imbarazzante. L’oro di Dongo che fine ha fatto?
Risposta. “Non lo so. C’era un settore del Partito che si occupava delle cose un po’ più riservate. Figurarsi in quegli anni”.
Nel 1956 il Pci di Togliatti difese l’invasione sovietica dell’Ungheria, ha ricordato Cappellini.
Nella storia dell’Ungheria non c’è in fondo anche il segno della doppiezza di Togliatti? chiedeva Veltroni 5 anni fa.
“Perché Togliatti era l’uomo della fondazione della sinistra nella democrazia italiana, però
era anche l’uomo che poi a Mosca non ha mai saputo dire di no”.
“Togliatti a me pareva geniale, ma non simpatico. Io ero per Longo, avevo un rapporto quasi filiale con lui. Longo e Togliatti si parlavano quasi con il lei. Non usavano il lei naturalmente, ma erano due persone distanti. Tra i due c’era legame politico, ma non amicizia. La
doppiezza di Togliatti? L’espressione secondo me non è giusta. Lui non era doppio, era convintissimo che, con la Rivoluzione d’ottobre, la storia si fosse messa in moto, che fosse comin-
ciato il socialismo nel mondo. Una convinzione che sarà superata solo con Berlinguer».
Nel ’68, quando ci fu l’invasione della Cecoslovacchia, il Pci si espresse con la formula «il grave dissenso». Che però era poco.
«Era quello che sembrava moltissimo, a compagni come Longo. Che per la prima volta aveva coscienza del fallimento di quel modello. Ma devo finire su Togliatti. Togliatti era convintissimo che fosse incominciato il socialismo. Su questo non c’era doppiezza, lo diceva. C’è un dialogo tra Bobbio e Togliatti, è del 1954. Al liberalsocialismo del filosofo, Togliatti risponde con supposto realismo: “Non ci possiamo inventare noi cosa deve essere il socialismo, adesso c’è già un socialismo che marcia”. Ma quello non era il socialismo che marciava, era il socialismo che si stava suicidando».
Che guerra hanno fatto i sovietici a Berlinguer?
“Guerra totale, non solo sotterranea. Noi eravamo il nemico degli americani, ma anche dei sovietici. Perché la tesi di Kissinger su Berlinguer era la loro: “Questo è il più pericoloso di tutti, perché è democratico, rompe l’unità morale dell’Occidente”.
Perché si scopre che ci può essere un comunista democratico. Il problema era che quella linea aveva bisogno di un impianto teorico robusto. Perché se la spinta propulsiva non funziona, non funziona più un mondo e non funzionano più le tue vecchie idee. Devi sostituirle. Io mi posso dire tranquillamente comunista perché per me il comunismo è un punto di vista sulla realtà, non è un sistema e non è neanche una dottrina, è un punto di vista sulla realtà. È dire: “Questa divi-
sione tra ricchi e poveri, borghesi e proletari non funziona, dobbiamo pensare ad un mon-
do altro”.
Tu ricordi episodi di guerra dichiarata dei sovietici al Pci?
“Loro gli hanno addirittura censurato il discorso a Mosca. Quando ha detto “la democrazia valore universale”, gli hanno tolto la frase, più di così… E poi il terrorismo. Nessuno mi toglie dalla mente che i sovietici abbiano lavorato per far saltare il compromesso storico, per impedireaBerlinguer di inverare la prospettiva della partecipazione al governo. Se lui fosse riuscito sarebbe stato un colpo alla linea dei sovietici. Guarda quello che ha detto il consulente Usa Pieczenik, mandato dagli ame-
ricani per collaborare con Cossiga. Lui è stato protagonista di una manovra volta a far sì che
le Br uccidessero Moro. Ha detto persino: “Ho temuto fino alla fine che lo liberassero”.
“Moro e Berlinguer avevano sconvolto i canoni della Guerra fredda.E tutti e due erano nel mirino.
Ricordo la reazione violentissima dei sovietici al momento dell’eurocomunismo. Con Togliatti si parlava di via nazionale che voleva dire che la via era quella che volevano i sovietici, ma aveva delle varianti. Berlinguer, parlando di democrazia come valore universale, rompe questo schema e lavora per costruire una rete internazionale alternativa. Per i sovietici era troppo. Come troppo, per gli americani, era stata la “terza fase” di Moro. Via Fani si spiega così. E così si spiega l’attentato a Berlinguer in Bulgaria. E forse così si spiega anche l’addestramento delle Br in Cecoslovacchia…».
Se Moro non fosse stato rapito, il Pci avrebbe votato la fiducia al governo Andreotti? Eraun monocolore senza alcuna novità…
«La notte prima Moro aveva fatto arrivare, attraverso Luciano Barca, un messaggio a Berlinguer. Gli diceva di fidarsi di lui, che la composizione del governo era il prezzo da pagare per evitare una rottura nella Dc, che lui si faceva garante del programma. Il Pci avrebbe pagato un prezzo alto in ogni caso. Se avesse accettato, se avesse rotto. Quella legislatura sarebbe finita lì. Moro pensava a coinvolgere il Pci nel governo per poi fare l’alternanza.
“Berlinguer confidava nel prevalere del cattolicesimo democratico di Moro e Zaccagnini per una collaborazione non breve. Tutti e due erano consapevoli di aver portato l’esperimento di autonomia italiana al punto di massima tensione. Non per caso la proposta di compromesso storico nasce dal golpe in Cile”.