Perché affondò super yacht Bayesian? Tutta colpa di due portelloni e dell’albero non contrastato dalla deriva

Il super yacht Bayesian affondò nel mare di Palermo per colpa dell’albero troppo alto e di due portelloni lasciati aperti.
La conclusione non ufficiale e in parziale contrasto con l’inchiesta della Guardia Costiera è riferita in un articolo del Giornale di Sicilia che a sua volta si basa sulle rivelazioni di un giornale americano.
Nel naufragio, delle 22 persone a bordo, 15 sono sopravvissute, sette, tra cui il miliardario inglese Michael Lynch e la figlia Hannah, sono annegate.
Il New York Times, scrive il GdS, offre una soluzione al giallo del Bayesian, il veliero da 40 milioni di dollari lungo 56 metri del miliardario britannico Michael Lynch affondato in pochi minuti lo scorso agosto di fronte al porto di Porticello, vicino Palermo. Secondo il quotidiano le dimensioni dell’albero – all’epoca il più alto del mondo – e l’ingegneria strutturale necessaria per ospitarlo avrebbero reso la barca vulnerabile al ribaltamento.

Lo yacht affondò in pochi minuti

Il super yacht Bayesian perché affondò? colpa di due portelloni e dell’albero non contrastato dalla deriva – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

Lo yacht dei cantieri Perini Navi, aggiunge il giornale palermitano, aveva un albero di alluminio eccezionalmente alto e pesante: oltre 72 metri e 40 tonnellate.
Il super-albero sarebbe stata una anomalia: le altre nove barche della stessa classe sono infatti dotate di due alberi.
“Documenti tecnici ottenuti dal Times e simulazioni al computer mostrano che il Bayesian era suscettibile ad essere abbattuto durante una tempesta e che sarebbe affondato rapidamente”, sostiene il New York Times.

Sarebbe stato proprio il proprietario del Bayesian, l’uomo d’affari danese John Groenewoud, ad aver insistito per l’albero extra-tall. La richiesta aveva portato a modifiche progettuali tra cui la posizione della zavorra che avrebbe dovuto bilanciare l’anomalia dell’albero. Invece di distribuirla uniformemente lungo il fondo della barca – cosa che avrebbe garantito la migliore stabilità – i costruttori la ammassarono verso il retro dello scafo per bilanciare lo spostamento dell’albero più vicino alla parte anteriore.
Altri «gravi punti deboli» avrebbero contribuito al disastro: tra questi due grandi porte di vetro sul ponte che avrebbero aumentato la possibilità del Bayesian di imbarcare quantità pericolose di acqua in caso di forti venti.

L’inchiesta della Guardia Costiera

Secondo Francesco Patanè dí Repubblica sarebbero state proprio le porte stagne lasciate colpevolmente aperte, una a poppa e una al centro della nave, a causare l’affondamento del Bayesian. Colpa dunque di questi due sbarramenti non sigillati.Gli investigatori della guardia costiera coordinati dalla procura di Termini Imerese sono arrivati a questa conclusione dopo due mesi e mezzo di indagini. A far colare a picco l’imbarcazione sono state la porta ermetica a poppa che separa il locale tender dalla sala macchine e una seconda barriera sul ponte inferiore, all’entrata della zona cabine.
Entrambe non hanno protetto i locali del piano inferiore della nave dalle migliaia e migliaia di litri d’acqua che entravano da due punti precisi.
Una parte dell’enorme quantità d’acqua è entrata dalla scala del ponteprincipale nella zona sinistra di poppa, l’unico accesso al locale tender e alla sala macchine.
Complice l’inclinazione del veliero (che secondo i testimoni e l’equipaggio è arrivata fino a quasi 90 gradi) l’apertura sul ponte principale ha provocato in pochi secondi prima l’allagamento del locale tender e poi quella ancor più grave della sala macchine, che ha azzerato ogni possibilità di salvezza.

«Quando la barca si corica a 90 gradi e non ritorna dritta, mettendosi di fianco sul mare, l’acqua entra da tutti gli accessi aperti e da tutti quelli che pur chiusi non sono stagni, cioè non hanno la capacità strutturale di resistere alla pressione idrostatica (in questo consiste l’essere a tenuta stagna), spiega una fonte vicina agli inquirenti.

“Inoltre il vento non è cessato e ha continuato a spingere la barca che si è comportata come un secchio che raccoglie l’acqua allagandosi in pochissimo tempo».
Non dal portellone di poppa, dunque, che gli investigatori confermano essere chiuso e nemmeno da quello laterale per l’uscita del tender, anche questo dalle immagini subacquee apparentemente sigillato.
Nei minuti in cui a poppa l’acqua saliva velocissima in sala macchine, un fiume scendeva dalle scale che portano alle cabine armatoriali.
Acqua che arrivava dal ponte principale, complice l’effetto secchio dovuto al vento fortissimo. La tempesta di quella notte ha prodotto venti molto superiori ai 120 km/h.
Una situazione limite che avrebbe avuto bisogno di una reazione immediata dell’equipaggio. Che non c’è stata: i motori non sono stati accesi e la deriva mobile non è stata abbassata per controbilanciare la leva di un albero alto 75 metri.
Secondo uno studio citato dal New York Timesl’albero così alto avrebbe costretto il costruttore Perini a modificare il posizionamento della zavorra rendendo il veliero più “debole” alle violente tempeste. Una tesi sempre respinta dal cantiere toscano che ha dichiarato la nave inaffondabile.

Giovanni Costantino, amministratore delegato di Italian Sea Group che nel 2021 ha rilevato il marchio Perini Navi, ha ribadito a sua volta al Times che, se gestito correttamente, il Bayesian sarebbe stato «inaffondabile».
Costantino è tornato ad attribuire la responsabilità della tragedia all’equipaggio, accusandolo di una serie di errori fatali.
The Italian Sea Group, la società quotata in borsa, proprietaria degli asset di Perini navi di Viareggio che costruì l’imbarcazione nel 2008, commenta: «l’articolo afferma concetti talmente risibili dal punto di vista tecnico che non vale la pena commentare». «The Italian Sea Group – dicono dalla società – ribadisce quanto già detto in passato in merito alla sicurezza della barca». L’azienda, che ha acquisito all’asta il brand Perini e gli asset immobiliari nel gennaio 2022, fa sapere che «si tutelerà in ogni opportuna sede».

Published by
Mario Tafuri