Ilaria Alpi: nuova udienza processo revisione somalo Hassan

Ilaria Alpi: nuova udienza processo revisione somalo Hassan
Ilaria Alpi: nuova udienza processo revisione somalo Hassan

PERUGIA – Seconda udienza martedì 5 aprile davanti alla Corte d’appello di Perugia del processo di revisione al somalo Hasci Omar Hassan, unico condannato per l’uccisione della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin, avvenuta a Mogadiscio il 20 marzo del 1994. Hasci Omar Hassan era presente in aula.

I suoi avvocati chiedono per lui l’annullamento della condanna e il riconoscimento dell’estraneità al duplice omicidio. Tra i testimoni sentiti martedì la giornalista della trasmissione Chi l’ha visto?, Chiara Cazzaniga, che realizzò in Gran Bretagna un’intervista a Ahmed Ali Rage, detto Jelle, principale accusatore di Hassan, che indicò il somalo come l’autore del duplice omicidio sostenendo di essere stato presente al momento dei fatti per poi, anni dopo, ritrattare completamente la sua ricostruzione.

“Durante l’intervista – ha riferito in aula la giornalista – Jelle mi disse che lui non era presente al momento del delitto e mi disse che arrivò verso le 16. Mi disse che gli venne detto che agli italiani gli serviva un testimone e che gli sarebbe stato offerto un passaporto e dei soldi che gli avrebbero permesso di lasciare la Somalia. Durante l’intervista mi disse anche che il nome da fare gli fu indicato espressamente”.

Ascoltato come testimone anche l’allora ambasciatore e diplomatico italiano in Somalia Giuseppe Cassini che ha riferito di essere risalito a Jelle tramite l’allora funzionario dell’Unione Europea Ahmed Washington, il quale gli aveva a sua volta riferito di un amico fidato, tal Abdessalam Shino, che sapeva dell’esistenza di un testimone oculare dell’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. “Jelle disse che vide arrivare un’auto con un commando armato composto da sette persone – ha detto Cassini – e che assistette all’assalto. Mi disse anche di aver riconosciuto uno dei somali”.

“Incontrai Jelle nel compound in Somalia – ha riferito in aula Cassini – alla presenza di Washington, che traduceva dal somalo all’inglese. Mi ricordo che dopo averlo sentito tornai in Italia e rappresentai la necessità di farlo arrivare nel nostro Paese, anche ai fini di assicurare la sua sicurezza personale. La stessa autorità giudiziaria mi ordinò di provvedere al trasferimento del testimone in Italia essendo considerato importante. Gli furono forniti un biglietto aereo e dei soldi, credo circa 200 dollari, che sarebbero dovuti servirgli per mangiare fino all’arrivo nel nostro Paese. In quanto funzionario dello Stato ero esecutore di un ordine”.

In merito alla valutata attendibilità del somalo, Cassini ha ricordato che Jelle era “una persona conosciuta come affidabile, con un lavoro fisso, e non un disperato”.

Non era invece a suo dire affidabile l’autista di Ilaria Alpi, Abdi. Nella sua testimonianza resa nel 2004 alla Commissione Parlamentare d’inchiesta, solo oggi desecretata, Cassini disse: “Io non darei un soldo bucato alle testimonianze di Abdi, perché è un bantu. La testimonianza di uno come lui è labile”.

Altri squarci nella coltre di depistaggi che ha costellato la ricerca della verità sulla morte della giornalista del Tg3 e del suo operatore si erano aperti già pochi giorni fa, quando il presunto supertestimone Ahmed Ali Rage detto ‘Jelle’ avrebbe confermato che la sua testimonianza “venne pilotata”.

Sentito in aula anche il giornalista Massimo Alberizzi, impegnato in Somalia e chiamato a riferire della sua conoscenza con Abdi, l’autista oggi non più in vita di Ilaria Alpi, alla guida dell’auto quando il commando sparò e diventato in seguito con Jelle uno dei due teste di accusa. Alberizzi ha riferito che Abdi gli fece più volte da autista durante le sue permanenze in Somalia. “Dopo l’omicidio gli chiesi come era andata la vicenda – ha detto in aula il giornalista – ma lui non mi parlò mai di Hasci e non mi disse mai che avrebbe potuto riconoscere qualcuno del commando”.

In aula come testimone anche Giancarlo Marocchino, per anni potente imprenditore di Mogadiscio, tra i primi ad arrivare sul luogo dell’esecuzione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e che caricò sulla sua auto i corpi dei due giornalisti morti.

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