In Rai esplode lo sconcerto della sinistra televisiva: ‘Non resto a fare il prigioniero politico’. Questa frase dell’Annunziata, ex presidente Rai, esprime il senso dello sconcerto di un partito, la sinistra televisiva.
Era abituata da sempre a frequentare i corridoi di viale Mazzini con il passo sicuro della propria appartenenza ad una visione del mondo e agli intrecci delle relazioni intessute.
Se ne va Fabio Fazio, se ne va Lucia Annunziata, scompaiono anche figure minori, meno note al grande pubblico, sembra una Caporetto della sinistra Rai, partito nel partito.
Annunziata meditava da tempo l’addio a una Rai in cui non si sentiva più libera, dichiara. Tra autori, giornalisti ed editori, in democrazie liberali, quindi non in Italia, prendersi e lasciarsi, sedursi e rompere sodalizi, è la prassi. Si chiama mercato del Quarto potere.
Quello che oggi evidente è la rinuncia alla lotta, normale in ogni azienda editoriale, in Rai per esprimere il proprio punto di vista. Ai tempi di tele Kabul del mitologico Guglielmi la sinistra stava in una riserva indiana, piccola e intrepida, intellettualmente attrezzata, fiera di talenti, ma lontana dall’audience.
C’erano, combattevano per le magnifiche sorti progressive, ma avevano uno spazio proporzionale, come la legge elettorale. Nessuno a Rai 3 se ne andava se cambiava la Governance. Loro c’erano e difendevano il proprio punto di vista.
Anni di maggioritario hanno consolidato la vasta area a cui appartiene l’Annunziata, fino a renderli predominanti nelle corazzate Rai. In quegli anni hanno concesso una Black Hills ai bisonti e agli indiani della destra? Risponderanno che non c’era bisogno, non ci sono uomini di “cultura a destra”.
A parte che questa affermazione non è veritiera, sappiamo benissimo che è l’offerta che crea la domanda. La Rai, soprattutto quella maggioritaria, ha mai offerto opportunità di espressione per fare crescere una destra culturale? Perché oggi si lamenta di una destra ignorante e coatta, se non gli ha mai concesso spazi di formazione e crescita?
Ha ragione Alessandro Giuly, che preferisco a Sangiuliano, il problema non è che Fazio, ottimo autore orientato, se ne vada, fa parte della vita, ma la capacità e la competenza di chi lo sostituisce.
Ma cosa determina la qualità o il successo di un programma? Gli ascolti, l’audience, la raccolta pubblicitaria? Una volta la Rai aveva l’auditel, agli inizi, ma c’era gente di livello, era uno strumento di opinione qualitativo.
Ora anche la società italiana è profondamente cambiata. Se vediamo i tassi di scolarizzazione e di laureati questo dato è in caduta libera, come la sua curva demografica. Pertanto siamo sicuri che il successore di Fazio o dell’Annunziata fallisca gli scarni obiettivi che la televisione di oggi si dà in rapporto al proprio pubblico? Chi li può giudicare, una giuria alla X-Factor?
La cultura di destra ha pochi uomini e molte diffidenze su capacità e competenze, ha però una eccezionale, forse irripetibile, occasione di fare crescere cultura di diversa opinione e possibilmente plurale, al contrario di quello che è successo finora. Non la sprechi in nani e ballerine, sia seria.