Italia mostro di inefficienza, ecco perché in Europa pesiamo poco. inefficienza del sistema Paese e ruolo dell’Italia in Europa.
Sapete perché gli inglesi vedevano di buon occhio il governo Mussolini? Il consenso derivava dal fatto che il regime faceva arrivare i treni in orario. Ricordate perché Ronald Reagan trionfò alle elezion presidenziali? Perché aveva licenziato in blocco i controllori di volo che paralizzavano i trasporti aerei. Reagan aveva messo i diritti dei cittadini (il popolo) al di sopra dei diritti dei lavoratori (una minoranza organizzata).
In Italia chiediamo trasporti, sanità, sicurezza
Il “popolo democratico” pretende “beni collettivi”, come un maggior benessere economico, trasporti pubblici efficienti, prestazioni sanitarie gratuite, la protezione contro la delinquenza, istituzioni e burocrazie funzionanti.
Il “popolo” non si preoccupa troppo dei mezzi economici necessari per ottenere queste prestazioni dello Stato ed alza la voce in caso di “inefficienze”. Esattamente come fanno i “tifosi” che non sono interessati alle fonti finanziarie del proprio club e protestano contro i presidenti che “pensano troppo ai bilanci e poco alla squadra”.
Quanto al benessere economico, vorrei ricordare che il nostro PIL è formato in gran parte da rendite di posizione che abbiamo ereditato. Il turismo è generato dal genio degli antichi architetti che hanno costruito cattedrali, opere d’arte, anfiteatri, non certo per la produzione “artistica” dell’Italia “democratica”.
Le uniche industrie portanti di tipo monopolistico, sono state costituite durante il periodo della presenza pubblica in economia e sono ora passate sotto il controllo dei fondi di investimento internazionali.
La dissipazione delle risorse pubbliche è stato il “credo” dell’Italia dei Valori e dei Diritti. I primi “dissipatori” sono stati gli italiani che lasciano i lavori impegnativi e preferiscono stipendi sicuri. Un solo esempio: i figli dei produttori di olio e pasta dell’imperiese hanno abbandonato le loro imprese per un posto in Comune e hanno svenduto i loro marchi ai francesi.
Scioperi e sindacati
Esiste un enorme conflitto di interesse tra sindacati, istituzioni e burocrazie rispetto al “cittadino”. La forza del sindacato sta nell’uso dello sciopero che è tanto più efficace quanto maggiori sono le adesioni e i blocchi dei servizi pubblici.
In Italia, i sindacati sono di tipo corporativo. L’episodio di “Capri senz’acqua” non avrà alcuna ripercussione sugli addetti, incapaci di garantire la manutenzione degli impianti idrici. Lo stesso si verifica per i trasporti, la spazzatura lasciata per mesi nei bidoni, i bus che restano nelle rimesse, i musei chiusi a “gatto selvaggio”.
Va tuttavia rilevato che una cosa è scioperare contro il “padrone” della “fabbrica”, altra cosa è farlo contro lo Stato. Nel primo caso si tratta di uno scontro mirato a ridurre i “profitti” del privato a vantaggio dei “salari”, scontro alla fine del quale puoi vincere o perdere; nel secondo caso si tratta di intaccare risorse pubbliche.
Gli scioperi dei dipendenti delle aziende a partecipazione statale che non potevano licenziare e le cui perdite erano poste a carico della collettività, resteranno una buia testimonianza di un sofferto ciclo di sviluppo del nostro Paese.
L’Italia impari dalla Cina
Cosa accade nei paesi illiberali del mondo con i quali dobbiamo confrontarci? La più grande conquista della Cina moderna è stata quella di aver fatto funzionare il sistema economico. Il sindacato cinese “deve considerare lo sviluppo economico come il compito fondamentale per preservare la dittatura del popolo”.
In mezzo secolo la Cina è passata dall’economia dell’industria casalinga e corporativa a un regime d’investimento di capitale e di libera iniziativa. Il governo cinese ha altresì compreso, molto più delle società occidentali, che l’attuale potenza dominante è diventata quella del tecnocrate e dell’uomo dell’organizzazione.
E’ singolare che i portavoce di questo sistema e l’avallo governativo, provengano dal partito unico comunista che ha rinunciato ai pesanti controlli sull’economia delle precedenti burocrazie. Il sistema comunista “gemello”, l’URSS, era fallito a motivo della grave inefficienza del sistema burocratico.
Se vogliamo ridurre il nostro gap competitivo dobbiamo rendere efficienti le istituzioni e le burocrazie.
In democrazia, arriva sempre un momento a partire dal quale la stessa opinione pubblica chiede a gran voce, come atto liberatorio, interventi governativi che riducano i “diritti” delle minoranze organizzate che danneggiano il sistema economico. In questo periodo, sono stati presi di mira i sindacati corporativi, la magistratura e il “caporalato”.
La burocrazia europea
In Italia sta accadendo un fatto politico esilarante: i partiti cosiddetti “popolari” denunciano la pesantezza della burocrazia europea. Il paese meno efficiente in assoluto, si propone di riorganizzare l’Europa delle “patrie”.
Il fatto è che l’Europa ci considera il grande sorvegliato speciale e ci impone di ridurre il debito pubblico e di rientrare entro parametri accettabili per quanto riguarda il funzionamento delle pubbliche amministrazioni.
La giustizia è considerato il settore più debole, in ragione della durata dei processi e della percentuale di assoluzione definitiva di cittadini rinviati a giudizio (superiore al 50% rispetto al 5% della media europea).
Il sistema fiscale non è certo dei migliori visto il livello di evasione e considerando che il contenzioso tributario si chiude con oltre il 60% di decisioni delle Commissioni a favore dei cittadini, rispetto al 10% degli altri paesi. Gli europei restano a bocca spalancata rispetto alla legge sulla autonomia differenziata, alla cui base sta l’idea che il sud del paese sarebbe parassitario del nord.
Ve lo immaginate se mettessimo un italiano a stabilire regole europee comuni in materia di carcerazione?
E veniamo al “caporalato”. Gli indiani che vengono in Italia, devono accettare lavori agricoli a due euro l‘ora e subire i delitti di un “caporale” indagato da cinque anni a piede libero. La vedova del lavoratore deceduto per dissanguamento ha dichiarato che l’Italia non è un “paese buono”. Che abbia forse ragione?
Tutti gli italiani sanno che un chilo di pomodori costa sul mercato poco più di un euro, la maggior parte del quale riservato alla filiera commerciale, grazie al fatto che i “raccoglitori” sono pagati sotto i limiti della decenza, vivono all’aperto e sono trattati come bestie. Per garantirsi un piatto di verdura a prezzi contenuti, l’italiano medio accetta (nei fatti) il caporalato ed è contrario al salario minimo per queste categorie di sfruttati.
Quando gli economisti affermano che l’Italia ha bisogno di immigrati, omettono di segnalare che molte di queste persone sono destinate alla schiavitù per almeno una generazione. Gli italiani conoscono questo stato di cose, esattamente come i tedeschi sapevano dell’esistenza dei lager nazisti.
Chi vuole aprire i nostri confini senza limiti, non si preoccupa del trattamento riservato all’immigrato. Io ringrazio dal profondo del cuore questi “sacrificati”, mi vergogno per loro, considero “razzisti” e disprezzo gli italiani abituati al salario sicuro e che rinunciano ai mestieri meno remunerativi. La sinistra illuminata non si preoccupa dello sfruttamento incivile in atto, ma propone una questione lessicale, limitandosi a bollare di razzismo gli imbecilli che discriminano gli immigrati per il colore della “pelle”.
Come pensiamo che la Meloni possa imporsi nella distribuzione delle cariche direttive in Europa, dovendosi presentare alle trattative con una così pesante zavorra di inefficienza sistemica del nostro paese?