Italia, andrà tutto bene. Lo appendevamo sui balconi durante il Covid, mentre toccavamo ferro e qualcosa altro.
L’Italia va bene, l’occupazione sale, dove non si sa ma sale, e le agenzie ci danno un rating stabile. Nonostante questo una serie di uccelli del malaugurio continuano a cinguettare male nuove. Ma perché?
Intanto le agenzie di rating stanno molto attente ai mercati, e l’Italia, che non è la Grecia, se cede sui fondamentali, fa ballare il mondo più di Jovanotti. E quindi meglio andarci cauti su Spread e Outlook.
I numeri veri ci saranno a Gennaio. Se l’anno 2023 chiuderà in ribasso rispetto alle stime difficilmente qualcuno accetterà le previsioni per il 2024, che traguardano la vetta di un improbabile 1,2 di crescita del PIL. Ma tra gli esperti economici della maggioranza si diffondono voci che dicono, ma la Germania?
Appunto, la Germania, la locomotiva dell’Europa, è ferma nella Stazione della Recessione. Ma mal comune non è mezzo gaudio. Intanto perché la nostra economia è strutturalmente interconnessa a quella tedesca, e quindi il nostro PIL, al di là degli ottimisti al governo, è destinata ad una discesa.
Ma la Germania non ha il nostro debito, ed ha uno spazio di manovra finanziaria che noi ci sogniamo. Se la terra di Wagner decide di puntare in tre anni all’idrogeno, per non dipendere dalle batterie cinesi, lo sa e può fare. Noi no.
La Germania ha meno sole di noi, ma ha più fotovoltaico. La teutonica vicina ha tre marchi, Audi, Mercedes e BMW che possono trainare ricerca e sviluppo. Noi ci siamo giocati la Fiat.
Loro hanno la Bayer a Leverkusen, con 50 mld di fatturato, noi la Menarini con meno di 4.
Poi i crucchi sono i crucchi, ma i nostri numeri rimangono impietosi. Possiamo essere pure i campioni del mondo dello storytelling, ma c’è questo maledetto problema che i numeri sono testardi, e due più due fa quattro, e mai farà 5. E non c’è Sangiuliano che tenga. Ci vogliono Santi superiori.