L’agente segreto di sua maestà David Cornwell, che più tardi sarebbe diventato famoso con il nome d’arte di John Le Carré, era pronto a tradire il servizio segreto britannico e a passare dalla parte del nemico, l’Urss. Cambiò idea perché non ebbe il coraggio di fare il passo decisivo, o forse perché consapevole che qualche George Smiley, il personaggio dei suoi romanzi che dà la caccia agli agenti doppiogiochisti, lo avrebbe prima o poi scoperto.
È stato lo stesso Le Carré a rivelare la tentazione di cui fu vittima all’inizio degli Anni 60, in piena guerra fredda.
Lo ha fatto con una lunga intervista a News Review, inserto del Sunday Times. «Quando partecipi a una intensa attività di spionaggio – ha confessato lo scrittore – e ti avvicini sempre di più al confine, ti sembra che ci voglia davvero molto poco a saltare gli ultimi centimetri per…. come dire, scoprire il resto».
A impedirgli di scoprire il resto e di percorrere quegli ultimi centimetri fu, paradossalmente, proprio quello che Le Carré sarebbe voluto diventare. Fu l’agente doppiogiochista Kim Philby a rivelare ai sovietici la copertura dell’agente Cornwell – rovinandone la carriera nell’MI6 – e di decine di altre spie inglesi. Da allora, Le Carré ha covato per Philby un odio non ancora sopito e solo in parte sfogato nel romanzo La talpa. Quando nel 1987 un intermediario russo propose una cena di riconciliazione tra i due, Le Carré rifiutò. «Era stato responsabile – ha spiegato nell’intervista – della morte di decine di agenti inglesi, fatti giustiziare in Albania dal controspionaggio sovietico. Aveva un istinto naturale per la corruzione e mi si rivoltava lo stomaco solo all’idea di vederlo».
Philby morì a Mosca un anno dopo e chissà quali incredibili storie e spunti per nuovi romanzi avrebbe potuto rievocare quell’incontro mancato. Philby era un vero comunista, un esponente dei «Cambridge Five» (oltre a lui, Guy Burgess, Donald MacLean, Anthony Blunt, John Cairncross), tutti rampolli di famiglie benestanti che avevano abbracciato la causa di Lenin e Stalin molto prima di entrare nel servizio segreto inglese. Le Carré voleva passare dall’altra parte non mosso dall’ideologia, ma dalla curiosità di capire fino in fondo il nemico che stava spiando.
Più di quarant’anni dopo, lo scrittore non ha alcuna nostalgia di quel periodo. Ma, dovendo scegliere, anche oggi è tentato di stare dalla parte di Mosca. «Molti leader occidentali sembrano rimpiangere quell’epoca – ha detto – e il comportamento che hanno tenuto in occasione della crisi della Georgia lascia pensare che il desiderio di ritornare alla vecchia guerra fredda sia molto forte».