LA CGIL E L’UNITA’ SINDACALE

La Stampa pubblica un commento di Pietro Garibaldi sullo stato delle relazioni industriali intitolato ”Il rischioso gioco dei sindacati”. Lo riportiamo di seguito:

”Dopo settimane di estenuanti trattative sindacali per trovare l’accordo sulla nuova Alitalia, si è aperta una nuova fase nelle relazioni industriali. Non è la fase di unità riformista che molti auspicavano, ma una di «strappi interconfederali» o forse addirittura di vera e propria «rottura sindacale». È uno scenario preoccupante, anche perché nelle prossime settimane il sindacato dovrà affrontare un tavolo che riguarderà tutti i lavoratori italiani, quello della riforma del sistema contrattuale.

I sintomi della nuova fase sono molti. Nella trattativa Alitalia, la Cgil è riuscita a modificare in modo significativo un accordo già firmato dalle altre confederazioni. Un fatto rarissimo nella storia delle relazioni industriali.

Sabato scorso, la stessa Cgil ha organizzato 150 manifestazioni autonome in tutto il Paese contro la politica economica del governo, arrivando addirittura a minacciare lo sciopero generale indipendentemente dalle altre categorie. In una conferenza stampa autonoma Bonanni, leader della Cisl, ha poi accusato la Cgil di rovinare l’«ottimo lavoro» di unità sindacale degli ultimi due anni. In questo scenario, è impensabile arrivare a un accordo sul nuovo modello contrattuale entro fine mese, come solennemente annunciato durante l’estate da Confindustria e sindacati. In realtà l’organizzazione degli imprenditori un’ipotesi di accordo l’aveva avanzata. È stato un atto coraggioso, anche perché la proposta è scritta nero su bianco ed è stata formalmente inviata ai sindacati confederali. Guglielmo Epifani, segretario della Cgil, l’ha rispedita al mittente, arrivando addirittura a definirla «sovietica». Il resto dei sindacati confederali l’aveva invece accolta in modo più possibilista.

La proposta di Confindustria è volta a creare un sistema contrattuale di due livelli. Un primo livello «nazionale» dove si dovrebbero individuare gli aumenti minimi per coprire l’inflazione attesa, e un secondo livello «aziendale» dove si dovrebbe dare spazio al legame tra salario e produttività. La proposta prevede anche che nel contratto nazionale di primo livello sia inserita una clausola di garanzia per coprire gli aumenti salariali per quelle imprese che non hanno la possibilità di svolgere la contrattazione aziendale. È una proposta che ha certamente dei limiti, come illustrato in dettaglio su lavoce.info. Il metodo suggerito per determinare l’inflazione attesa è piuttosto arbitrario, mentre il modo in cui si dovrebbero calcolare gli aumenti di retribuzione al primo livello rischierebbe di aumentare la compressione salariale all’interno delle aziende e tra diverse regioni del Paese: il contrario di ciò che serve all’Italia. La stessa proposta non fa poi abbastanza per rafforzare il legame tra salari e produttività nelle imprese senza contrattazione aziendale. E comunque si potrebbe e si dovrebbe discutere. Definirla semplicemente «sovietica», come fatto da Epifani, non sembra un passo verso una soluzione.

L’unità sindacale non deve essere un fine o un’ossessione. È forse vero il contrario. Sarebbe un’anomalia una situazione in cui i tre sindacati confederali fossero sempre uniti e d’accordo. Significherebbe semplicemente che di tre sindacati diversi non vi è alcun bisogno. L’unità sindacale è però essenziale quando è aperto un tavolo volto a riscrivere le regole del sistema. Così come le riforme istituzionali hanno bisogno di accordi tra governo e opposizione, le riforme sull’assetto contrattuale hanno senso soltanto se condivise dai principali attori. Un situazione simile a quella del 2002, quando l’allora governo Berlusconi firmò il patto per l’Italia con Cisl e Uil senza Cgil, non è pensabile e forse nemmeno desiderabile. La nuova fase di «strappi interconfederali» non è proprio ciò di cui i lavoratori italiani hanno oggi bisogno”.

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