La tristezza diventa una malattia: boom di psicofarmaci

ROMA – Si posta il confine tra salute e malattia mentale: cio' puo' far si' che anche 'semplici' episodi di tristezza (per esempio conseguenti alla perdita di una persona cara) siano bollati come casi di depressione, dirottati quindi sui binari della cura, spesso con psicofarmaci. E' uno dei problemi sollevati da Allen Grances, professore emerito di psichiatria alla Duke University (Usa), nell'ambito della revisione in fieri del manuale diagnostico di psichiatria che potrebbe moltiplicare malattie mentali e pazienti e quindi prescrizioni di farmaci. L'allarme non e' ingiustificato, come si evince dal trend nazionale di forte aumento del consumo di antidepressivi, salito del 310% (cioe' piu' che triplicato) dal 2000 al 2008, secondo i dati dell'ultimo rapporto Osservasalute dell'Universita' Cattolica di Roma. Nonostante qualche dubbio che si sta diffondendo all'interno della comunita' scientifica sulla veriticita' delle diagnosi di depressione e quindi sulle terapie da usare, l'aumento dell'utilizzo degli antidepressivi interessa, indistintamente, tutte le regioni, ma quelle del Centro-Nord (in particolare, PA di Bolzano, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria) risultano avere maggiori consumi rispetto a quelle del Sud (Puglia, Basilicata, Molise). Si stima che il mercato di questi prodotti sia amplissimo. Sarebbero circa 60 milioni in Europa le persone colpite da depressione. L'aumento dei casi di depressione e dell'uso dei farmaci e' un fenomeno globale: si registra un aumento esponenziale del numero dei casi trattati (+300% in USA tra 1987-1997) e l'uso di antidepressivi e' triplicato tra 1988 e 2000, spiega lo psichiatra Paolo Cioni, docente alla Scuola di Specializzazione in Psichiatria di Firenze. Ma sono tutti casi veri o si tratta di false diagnosi, cioe' di tristezza (naturale) medicalizzata? Questo dubbio sara' ancora piu' pressante con il nuovo DSM atteso per il 2013. Infatti, spiega Frances in un articolo che uscira' sulla rivista Psicoterapia e Scienze Umane, c'e' il rischio che col DSM-V si arrivi a medicalizzare il lutto: ''il DSM invertira' 20 anni di pratica diagnostica e permettera' la diagnosi di depressione maggiore per individui la cui reazione alla perdita di una persona cara somigli ai sintomi di un episodio depressivo (ad esempio, due settimane di umore depresso, perdita di interesse nelle attivita', insonnia, perdita di appetito e difficolta' di concentrazione immediatamente dopo la perdita di un coniuge diverrebbe un disturbo mentale), un cambiamento radicale e sbalorditivo che causera' un enorme problema di falsi positivi, dato che nel lutto vi e' moltissima variabilita' culturale''.

Gestione cookie