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La vera storia del mercato immobiliare in Italia, da Benito Mussolini a Ilaria Salis.

La vera storia del mercato immobiliare in Italia, da Benito Mussolini a Ilaria Salis.

Esistono due modi principali di costruire immobili: a iniziativa dello Stato oppure del “mercato”. In URSS le case erano pubbliche, solo che in un appartamento di 40 mq. ci abitavano tre famiglie, con uso comune del bagno. Il regime fascista costituì l’Istituto Autonomo Case popolari, che operò fino al 1940.

DALL’IACP DI MUSSOLINI AL PIANO FANFANI

Amintore Fanfani primo ministro parla al Senato, è nella storia della edilizia popolare
La vera storia del mercato immobiliare in Italia, da Benito Mussolini a Ilaria Salis – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

Si deve al democristiano Fanfani il piano di intervento INA-Casa per l’assegnazione di alloggi ai disoccupati e alle famiglie a basso reddito.

Lo storico “indipendente” deve ammettere che le case popolari risalenti al regime erano edificate secondo criteri decorosi: i costruttori, capi mastro e muratori, possedevano elevata professionalità (tra i mestieri semi-abbandonati dagli italiani, dobbiamo comprendere oggi, con tristezza, quello del muratore).

Aziende di costruzione nate sotto il fascismo, come la Bastogi, la Cidonio, la Mantelli, la Ferrobeton, hanno lasciato traccia visibile di serietà imprenditoriale. Come esempio dell’architettura sociale del periodo fascista, si citano le ex Colonie marine e montane che, ai nostri giorni, sono sottoposte a vincolo dei “Beni culturali” per il loro elevato valore storico-artistico.

LA STORIA DEL BISCIONE DI GENOVA

Un caso aberrante di case popolari realizzate da INA-Casa si è avuto a Genova. Il quartiere del “Biscione” è diventato una sorta di ghetto dove sono andati ad abitare non solo operai immigrati dal sud Italia per lavorare all’Ansaldo, ma anche molti genovesi sfrattati dalle imprese edili che hanno costruito la “city” degli affari nel centro storico.

Da allora il centro storico, che era considerato un “modello” unico al mondo, è finito nelle mani di spacciatori e non esiste più negozio gestito da genovesi. Tutto ciò per consentire di realizzare un business a vantaggio del mondo finanziario e a danno di qualche migliaia di cittadini residenti. A Prà, nel quartiere delle “Lavatrici”, l’acqua piovana entrava dai muri laterali degli appartamenti.

La gestione delle case statali è affidata alle burocrazie, cui spetta il compito di selezione gli inquilini “meritevoli”. Si sono verificati scandali che hanno evidenziato la “mala gestio” pubblica, per gare opache, giri di mazzette, favori di ogni tipo (si ricordano in particolare le indagini su “Affittopoli”). Abusi molto ricorrenti sono stati quelli degli inquilini, che trasferivano per via ereditaria i contratti di affitto.

LE SPESE DI MANUTENZIONE

Un aspetto trascurato nell’ambito dell’edilizia popolare è sempre stato quello delle spese di manutenzione, tanto più elevate perché gli inquilini non hanno interesse a mantenere il decoro della casa di abitazione da cui sono sfrattati per morosità. Ne è derivato un inarrestabile degrado dell’edilizia pubblica, che le Tesorerie degli Enti locali non sono mai state in grado di contenere.

Possiamo concludere che le case popolari, per la loro esiguità rispetto alla domanda potenziale, non bastano a risolvere i problemi dei diseredati e degli immigrati. Bisogna informare gli immigrati che venire in Italia non significa solo restare disoccupati o sfruttati, ma anche restare senza un tetto.

Gli italiani a loro volta in difficoltà, vedono negli immigrati pericolosi concorrenti nell’assegnazione di case statali. Questa guerra tra poveri riguarda anche la Francia. La sconfitta di Macron si deve in parte ai criteri di assegnazione delle case popolari che favoriscono gli immigrati rispetto ai cittadini francesi.

L’edilizia privata in Italia è sempre stata di tipo speculativo. Per fare un esempio concreto delle differenti aree di responsabilità, la “rapallizzazione” rappresenta il risultato di scelte scriteriate delle giunte comunali che non hanno saputo difendere il territorio dalle colate di cemento.

Le “case di cartone” sono riferibili alla responsabilità di una classe di imprenditori edili non sottoposti a controllo da parte dei tecnici degli enti locali. La casa di un pescatore costruita un secolo fa è apprezzata il doppio rispetto ad analoga costruita nel dopoguerra; segno evidente di una speculazione edilizia privata continua e inarrestabile.

A fare le spese degli abusi speculativi sono stati gli acquirenti di case ai quali è stato fatto credere che il “mattone” rappresentasse un bene rifugio. Alla fase iniziale di rivalutazione, è subentrato, da oltre vent’anni, il ciclo depressivo tuttora in atto. I bilanci delle principali società hanno comportato la sistematica svalutazione del patrimonio immobiliare specie nelle banche e nelle imprese di assicurazione.

L’operaio  che ha investito i risparmi di una vita in un appartamento, tenta di vendersi la nuda proprietà per garantirsi il diritto di abitazione fino alla morte. Questa situazione dipende in gran parte dalla politica tributaria sulla casa, afflitta da imposizioni superiori a quelle previste per l’investimento finanziario.

Ciò che deprime oggi i valori immobiliari sono le tasse invisibili, come i continui obblighi di ristrutturazione per adeguarsi alle norme energetiche attuali e prospettiche. Si salvano i proprietari delle case che affittano “ad ore” e in nero, che fanno concorrenza agli alberghi e quelli che affittano stanzoni agli studenti universitari di Roma, Bologna o Milano, i quali sono costretti a pagare 600 euro al mese per un posto letto.

Riflettiamo inoltre su questa circostanza: una costruzione si termina in una notte o richiede qualche mese o anno di attività? Le villette costruite nell’Oasi del Simeto, a Battipaglia, a San Felice Circeo, alla Maddalena e nella Valle dei Templi, gli orrendi ecomostri sparsi nel Paese, edificati durante la Prima e Seconda Repubblica, erano sotto gli occhi di tutti.

Quando si parla di abusivismo, cioè di abitazione che andrebbe abbattuta, significa che i funzionari dei comuni, i vigili e così via, non hanno svolto alcuna attività di controllo. Perché non si prevede una sanzione per l’Ente che non ha controllato e per i “controllori” che hanno partecipato al “delitto”?

A fronte di queste omissioni macroscopiche, si deve registrare l’accanimento nel perseguire le piccole difformità, come un finestrino nel cavedio, denunciate al catasto e al Comune dal costruttore 70 anni fa, che gli attuali proprietari “inconsapevoli” sono chiamati a “sanare” pagando qualche migliaia di euro.

Veniamo al caso di Ilaria Salis, la quale ha teorizzato una nuova tecnica per ottenere l’alloggio, quella di espropriare i legittimi proprietari attraverso l’occupazione forzata “con scasso”. Il partito che ha candidato la Salis al Parlamento europeo ha proposto di depenalizzare il reato di occupazione abusiva, come avviene in certi States americani e di considerare reato l’inefficienza degli addetti pubblici che non portano a termine l’assegnazione delle case sfitte.

Un incauto osservatore potrebbe anche condividere questa proposta. Ci troviamo infatti dinnanzi ad una situazione odiosa quanto ricorrente. Gli incaricati di questi servizi pubblici “inadeguati” diventano parassiti delle classi più disagiate. Essi sanno perfettamente che se svolgessero il proprio ruolo in modo efficace e puntuale, diminuirebbero le esigenze degli uffici e quindi le assunzioni di nuovi funzionari. La loro forza sta nell’inefficienza diffusa consentita dall’”inamovibilità”.

L’unico modo per garantire uffici pubblici “efficienti” sarebbe quello di prevedere licenziamenti in relazione all’acclarata “inefficienza”. Solo che una proposta di questo genere sarebbe considerata dal partito della Salis “incostituzionale”, “politicamente scorretta”, “sacrilega” e da “fascisti”.

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